Il fenomeno del randagismo in Sicilia è un problema ormai sfuggito di mano. Le campagne e le aree periferiche intorno alle maggiori città siciliane sono trasformate da cittadini incivili in discariche di cucciolate indesiderate o di cani adulti e anziani di cui ci si vuole sbarazzare. Non è raro, infatti, trovare cani e gatti abbandonati vicino ai cassonetti, soprattutto in periferia, o tra i cumuli abusivi di immondizia lungo le strade provinciali e in aree di campagna.
Tutti questi animali abbandonati non solo si ritrovano ad affrontare condizioni di vita a cui non sono preparati, finendo per ammalarsi o per morire di stenti o vittime di incidenti stradali, ma, poiché solitamente non sono sterilizzati, si riproducono determinando una crescita esponenziale della popolazione canina e felina vagante (si stima siano 40 mila i cani randagi in Sicilia, 600 mila in tutta Italia, e più di 2 milioni i gatti).
Randagi si nasce
Una cagna, ad esempio, può avere una media di 6 cuccioli all’anno, di cui la metà mediamente è femmina. Ciò significa che a partire da una sola femmina e da una cucciolata, a cascata già dal secondo anno si avranno altri 18 cani, dopo 4 anni altri 162, e così via, fino a ipoteticamente oltre 100 mila cani dopo 10 anni (non considerata, ovviamente, la moria di animali per stenti, malattie, incidenti, uccisioni, ecc. che colpisce una parte consistente di essi).
Il mantenimento in canile di un cane ha un costo giornaliero di 3,50 euro. Considerata la permanenza in canile media di 7 anni, il costo economico a carico della collettività è di circa 9 mila euro a cane. Immaginiamo cosa possa significare moltiplicare queste cifre per le migliaia di cani ospitati nei canili e le migliaia di randagi, che in numero crescente, ci sono sul nostro territorio.
Cifre importanti, che fanno capire quanto gli abbandoni e la mancata prevenzione incidano pesantemente sui bilanci comunali. Non significa ovviamente che queste risorse non vadano spese per la lotta al randagismo e per il benessere degli animali, che dev’essere sempre garantito. Ma non possiamo non rilevare quanto siano costi evitabili con una corretta politica che punti sulla prevenzione.
Prevenzione è sicurezza
Anche se l’ipotesi rappresentata nell’infografica non tiene conto dell’elevata mortalità della popolazione randagia, ci fa capire, comunque, quanto possa essere consistente la presenza di randagi nelle zone dove non viene attuata la prevenzione. Una presenza che, non gestita, può far insorgere diverse criticità, sia sotto l’aspetto della tutela degli animali, sia sotto quello sanitario e della sicurezza, soprattutto in ambienti urbani o fortemente antropizzati e laddove la popolazione non è educata ad una corretta convivenza con gli animali vaganti.
Sebbene, infatti, la natura di cane vagante, cioè non padronale, libero e nomadico, non è di per sé portatrice di problematiche particolari – ovviamente se inserito in un contesto in cui si instaura un rapporto di reciproco rispetto e di pacifica convivenza tra l’uomo e l’animale -, i problemi insorgono, invece, quando il numero di cani è cospicuo.
Il formarsi di branchi, più o meno numerosi, e fortemente territoriali può compromettere la sicurezza delle persone, ma anche dei cani stessi. Episodi di aggressioni a cani padronali o anche alle persone producono inevitabilmente una certa avversione e timore verso i randagi, producendo a volte delle reazioni spropositate e violente. E anche l’immagine turistica della Sicilia ne risente, sia per incidenti capitati ai turisti, sia perché l’indignazione generale verso la Sicilia si fa sempre più forte, fino addirittura ad invitare a boicottare la nostra isola.
Succede così, sempre più spesso, che in assenza dell’intervento delle amministrazioni, troppo sovente distratte o incapaci di affrontare il problema, avvengano gravissimi episodi di uccisioni in massa di randagi. Come il terribile episodio accaduto nel febbraio scorso a Sciacca, dove sono stati uccisi 30 cani con esche avvelenate, o il più recente episodio, proprio di questi giorni in provincia di Messina, a Furnari dove 10 cani sono stati avvelenati, si sospetta anche con l’uso di stricnina. E tanti sono in tutta la Sicilia i casi di maltrattamento o i “piccoli” episodi di crudeltà verso gli animali, che fanno meno clamore, ma che contribuiscono a delineare un quadro di urgenza, per il quale sarebbe necessario un intervento forte e deciso da parte di tutte le istituzioni, a tutti i livelli.
Le responsabilità delle istituzioni
Sebbene la responsabilità della tutela degli animali non padronali presenti sul territorio comunale sia in capo ai Comuni, coadiuvati dalle ASP, come previsto dalla Legge quadro sul randagismo 281/1991, recepita dalla Legge regionale 15/2000, è evidente che i comuni siciliani non solo sono inadempienti, ma sembrano incapaci di agire concretamente. È fatto obbligo, infatti, alle amministrazioni comunali di provvedere alla realizzazione dei canili sanitari e dei canili rifugio per il ricovero degli animali prelevati dal territorio, all’applicazione del microchip e iscrizione alla anagrafe canina, alla sterilizzazione, e alla cura e al mantenimento fino ad adozione. Inoltre, la Circolare del Ministero della Sanità 5/2001, viste le difficoltà e la lentezza nell’attuazione della Legge quadro, ha introdotto la figura del cane libero accudito, o “cane di quartiere”, consentendo alle amministrazioni di reimmettere i cani nelle zone di prelievo, assicurandosi della loro non aggressività e dell’idoneità dell’animale a vivere per strada. Benché dovesse essere un’alternativa temporanea, in realtà è diventata una consuetudine, dettata soprattutto dalla carenza di canili, cui i comuni non hanno mai posto rimedio, e dalla prospettiva di un risparmio immediato, visto che il mantenimento del cane di quartiere è demandato alle associazioni, ai volontari o alla disponibilità della gente del posto.
I cani di quartiere
In ogni caso, se ben accolto dai residenti, un cane libero accudito può diventare, e solitamente è così, un membro della comunità a tutti gli effetti, amato e coccolato, e un compagno di giochi per i bambini.
Alcuni di loro hanno anche storie particolari che entrano nella memoria collettiva, come ad esempio quella di Uccio, “il guardiano” delle statue di Falcone e Borsellino, che aveva deciso di vivere tra i corridoi gremiti e rumorosi del Tribunale di Palermo. Morto di recente, ha lasciato un vuoto nel cuore della città; o come Matisse, il cane abbandonato divenuto la mascotte della Questura di Palermo; e ancora la storia di Italo, il cane mascotte di Scicli, amato dall’intera comunità, divenuto protagonista del film omonimo uscito nel 2015, e la storia di Polpetta, nominata ufficialmente cittadina di Mistretta, con tanto di comunicato stampa del sindaco, a cui i cittadini hanno anche dedicato una canzone.
E tante altre sono le favole a lieto fine da raccontare: laddove agli animali sono riconosciuti il rispetto e l’attenzione che meritano, le storie di convivenza sono possibili e sorprendenti.
Uccio, il “guardiano” delle statue di Falcone e Borsellino
Il lato oscuro della solidarietà
È, appunto, grazie all’impegno di volontari e associazioni animaliste e alla generosità di cittadini di buon cuore che tanti cani e gatti sfortunati hanno avuto la possibilità di avere una vita decente. L’altra faccia dell’immobilismo delle amministrazioni siciliane è, infatti, una società civile più sensibile e impegnata, che si è ritrova a combattere da sola con le proprie forze una battaglia di civiltà epocale, scontrandosi troppo spesso con l’indifferenza delle istituzioni e la crudeltà della parte più arretrata della Sicilia.
Così, centinaia di animali recuperati dalle strade o salvati da situazioni di maltrattamento, sono entrati in un circuito vorticoso e febbrile fatto di volontari, visite veterinarie, stalli, pensioni, staffette, appelli sui social, raccolte fondi e viaggi della speranza. Nel migliore dei casi verso le famiglie che hanno scelto di accoglierli, in molti altri casi verso canili e stalli al nord in attesa del colpo di fortuna che gli cambierà la vita. Soprattutto tanti cuccioli e cani giovani, i più richiesti laddove il controllo del randagismo funziona meglio e trovare cuccioli meticci è meno facile.
Un sistema questo che, però, ha i suoi lati oscuri. Non c’è alcun controllo istituzionale, i volontari a volte peccano di inesperienza e una certa leggerezza. L’adozione a distanza comporta molti rischi per il cane, sia durante i viaggi fatti con staffette non sempre legali e a volte senza i minimi requisiti di sicurezza come previsti dalle Linee guida del Ministero della Salute, sia perché il comportamento degli adottanti è sempre un grosso punto interrogativo. Può succedere, infatti, che gli animali vengano rispediti indietro o possano finire in mani non proprio raccomandabili. In un sistema, poi, dove girano tanti soldi, è facile si possano inserire personaggi senza scrupoli.
Quanto detto finora fa comprendere come il fenomeno randagismo sia un problema complesso, con mille sfaccettature, non congiunturale, ma sistemico e strutturale, frutto di anni di ritardi e mancati interventi. Andrebbe, quindi, gestito con progettualità e una pianificazione accurata, e non trattato con improvvisazione, con interventi spot o annunci propagandistici.
In un prossimo articolo proverò a fare una riflessione a partire dai dati disponibili sul fenomeno, cercando di delineare le varie criticità sotto l’aspetto amministrativo e culturale.