Premmetto che istintivamente sono portato ad avere simpatia verso Fabrizio Cicero, l’artista autore della luminaria con la scritta Minchia, che si trova istallata in via Alloro. Non lo conosco personalmente, ma l’idea di un artista giovane e siciliano trasferito a Roma a cercar fortuna non può che attirare curiosità ed interesse.
L’opera sta facendo discutere, citata dai principali quotidiani nazionali.
Quindi ha vinto il produttore, l’imprenditore del mondo dello spettacolo Andrea Schiavo di H501.
L’arte contemporanea gioca su un limite sottile, può scardinare una visione della realtà ed aprirti a nuove prospettive. Oppure essere paurosamente banale. Nell’arte contemporanea pesa il cosa, ma anche il dove ed il quando.
Scrivere “Minchia”, con le luminarie della tradizione siciliana, di fronte il duomo di Milano, magari il giorno del primo discorso del sindaco neo eletto, avrebbe potuto avere un senso.
Scriverlo a Palermo, in una via storica, nell’ambito di una manifestazione che intende essere di arte internazionale, a mio avviso riproduce verso l’esterno un’idea macchiettistica di Palermo, del suo linguaggio, della stessa tradizione delle luminarie. Tradizione che io amo e trovo straordinaria. Trovo irrispettosa l’opera perché banalizza il tutto, al punto che pensavo l’autore fosse un milanese, che poteva non avere gli strumenti culturali per comprendere quanto le luminarie siano parte del tessuto religioso della città.
Vince a mio avviso l’arte non arte.
Che è un pò l’anima profonda di Manifesta, arte che punta ad occupare qualche titolo di giornale, con provocazioni ormai abusate ed un po’ fine a se stesse.
Trovo parimenti un po’ sterile la polemica su quanto sia costata un‘opera e chi l’abbia pagata. Non puoi sapere prima di commissionarla se un’opera varrà qualche cosa. Ma, se accettiamo l’idea di spendere oltre 5 milioni di euro per una manifestazione come Manifesta, che mi pare stia impattando in città poco o nulla, trovo secondario capire quanto è potuta costare nello specifico questa “Minchia”.