Prendo spunto dall’articolo molto interessante di Alberto Samonà per svolgere alcune considerazioni. Abbiamo certamente in comune la visione critica nei confronti di un ordine sovranazionale astratto che determina l’indebolimento strategico dei singoli stati nazionali. Lo stato, a mio avviso, è lo spazio in cui si mediano gli interessi di una collettività e dove la politica deve ritornare a essere protagonista, si da non essere più succube dell’economia. Il protagonismo della politica è la ri-valorizzazione della cittadinanza attiva e il rilancio della democrazia partecipativa e della sovranità popolare. Se questo vuol dire essere populisti: io lo sono. La democrazia partecipativa e la difesa della sovranità popolare sono due concetti cardine della mia visione politica. Come scrive Barcellona, “La sovranità è la negazione di una fondazione extra sociale della legge”, ovvero la negazione di una autorità esterna e trascendente che coincida con gli interessi del mercato su quelli della collettività che si da le sue leggi.
Lo stato siamo noi nessuno si senta offeso
Lo stato, come la lingua vive in noi e attraverso noi. Grazie alla parola che diventa scambio sociale, mediato da uno stato, la psiche individuale rompe il suo isolamento e diventa sociale. Attraverso lo Stato, come attraverso la famiglia, o qualsiasi altra associazione, l’individuo è aiutato a uscire dalla sua solitudine e dal suo egoismo e a riconoscere l’altro. Tutti siamo lo stato e lo stato è tutti noi. Esso è uno spazio non eliminabile in quanto necessaria mediazione tra individualità e la collettività; che sia uno stato regionale o una federazione di stati non importa. Deve esistere questa mediazione anche se non può e deve essere la proiezione della affermazione della nostra individualità egoista e della volontà di potenza ma lo spazio di una dinamica dialettica vitale che ci consente di essere e diventare comunitari. Attraverso lo stato può sorgere la vera comunità che lo trascende ma non lo distrugge: una comunità di anime che incontrano e si arricchiscono nella differenza. Scrive un filosofo, “Senza di noi esso non sarebbe Stato; ma senza di esso noi non saremmo noi”.
Siamo un paese senza sinistra
Lo stato è la mediazione che consente la fioritura della individualità sociale. La morte dello stato, o il suo indebolimento a causa dell’assoggettamento all’economia, è pertanto la morte di un mediazione etica che ci consente di essere sociali. Ovviamente la sua vita non deve diventare un dominio dispotico, perché lo stato va continuamente incarnato e attualizzato da una capacità di fare comunità nel territorio di appartenenza e non ipostatizzato come entità estranea e assoggettante. Difendere lo stato nazionale è pertanto una esigenza di vera sinistra: è la base per potere poi trascenderlo dentro una comunità internazionale che sia davvero democratica e non oligarchica.
La distruzione e/o l’assoggettamento degli stati ad un ordine globale astratto è la chiusura dell’individuo dentro una astratta impotenza individualistica ed anti comunitaria, così come la esaltazione di un nazionalismo particolaristico è la chiusura dentro una delirante ed egoistica onnipotenza. A mio avviso si tratta di due facce dello stesso errore e bisogna evitare gli opposti scogli di un universalismo omologante e di un particolarismo separativo. Una vera sinistra criticherebbe entrambe le prospettive. Ma noi, si sa, viviamo in un paese senza sinistra.
Una solidarietà dei popoli dentro uno stato nazione europeo unico?
Lo stato non deve essere sussunto dentro un ordine che lo ricatta e lo domina dall’alto ma deve essere trasceso da un accordo comune internazionale che sia davvero tale e che accada tra stati alla pari; Il concetto è semplice: la mia identità non deve essere distrutta: solo se valorizzata dal basso può dare un contributo ad una visione comune e intersoggettiva insieme a quella altrui; non potremmo vivere senza individuarci; dopodiché se siamo maturi possiamo trascendere la nostra identità contaminandoci con quella altrui; analogamente un popolo non potrebbe essere tale senza un territorio e un confine che lo definisce come “popolo”; In una città universale non vi è alcuna dinamica che produce cittadinanza attiva: essa diventa dispotismo omologante. E questo dispotismo come spiega Kant produce anarchismo che poi determina la necessità di ulteriore accentramento di potere nella presunta super nazione europea o mondiale che sia. L’oscillazione dispotismo omologante e anarchismo disgregante è, a mio avviso, una dinamica interna allo stesso errore. Non puoi fare convivere la solidarietà di popoli uguali ma differenti dentro una super nazione ed un potere accentrante; devi immaginare una coordinazione democratica delle differenze sotto forma di federazione.
Non avevi detto che lo stato è ineliminabile?
Lo stato è si una forza etica importante ed una mediazione utilissima per uscire dalla nostra solitudine individualistica, ma non è tutto, non è l’assoluto. Volere valorizzare lo stato che risulta sotto attacco da parte del capitalismo assoluto non vuol dire essere e diventare statalisti. Come scrive un filosofo, “è vero, contrariamente a quello che pensava Aristotele, che nemmeno gli bruti e gli dei possono vivere senza stato”, perché la sua mediazione, se democratica, consente ai bruti di non abbrutire gli altri e agli dei di non assoggettarci; è anche vero, tuttavia, che nel nostro cuore le anime sognano il superamento dello stato in un vero abbraccio comunitario.
Sei d’accordo con Cacciari
Si. Il rischio è quello di buttare con l’acqua sporca di un modello europeo fallimentare perché soltanto un dispotismo economico che determina per reazione un micronazionalismo disgregante (che costituisce una falsa soluzione interna alla medesima logica del capitale) con il bambino di una idea federale europea; dobbiamo dire che Samonà confida in una sincera solidarietà tra le nazioni su cui sono d’accordo ma perché secondo me essa deve coincidere con la federazione degli stati. La prospettiva della concertazione deve essere nel DNA dello stato-nazione sin dall’inizio. La capacità di evitare una deriva egemonica dello Stato nazione che porta all’ imperialismo che abbiamo conosciuto in passato deve essere avvertita come un’esigenza culturale e una sensibilità comune sin dall’inizio: deve esistere questa necessità vitale e questa visione progettuale nel DNA dei singoli stati nazionali. Questo modello europeo ha fallito perché ad una unione economica non è corrisposta la creazione di una visione culturale e sociale comune grazie al contributo paritario di tutti gli stati. Paradossalmente questo governo di cui non condivido molti aspetti (l’uso strumentale del tema della immigrazione per accreditarsi davanti ai cittadini nutrendo la loro intolleranza) è tuttavia in questo senso più di sinistra in materia di diritti sociali e come difesa della sovranità popolare di un governo capeggiato dal pd e da forza Italia (forse politiche liberiste e oligarchiche convergenti.)
Ma non è di sinistra immaginare una Europa senza confini ?
Non sono per una Europa senza confini ma sono per un Europa dei popoli che non consideri i confini divisivi ma sempre una stimolo all’abbraccio comune.
Ecco perché, pur condividendo la necessità di valorizzare i singoli stati nazionali, non sono affatto nazionalista e non sono d’accordo sulla proposta di un modello super nazionale europeo. Se si parla di Europa dei popoli e delle culture differenti secondo me è conseguente immaginare una federazione come modello di coordinazione delle differenze E su questo resto fedele alla lettura di Kant che propone nel libro “per una pace perpetua” una Europa in cui gli stati siano divisi ma vicini; la differenza tra le nazioni non deve produrre una super nazione che accentra ma un accordo internazionale che coordina. Devono esistere le differenze culturali, religiose ma perché possono essere superate dal basso; devono esistere le frontiere ma perché possa essere trascese dallo scambio e della cultura tra i popoli. Io non sono né solamente “io”, murato in me stesso, ne immediatamente sono “l’altro” senza frontiere. Sono la spinta verso l’altro e questo spazio e desiderio di raggiungerci ed incontrarci deve rimanere vivo per creare un vero spazio comune. Non possiamo essere omologati né separati. Siamo divisi ma vicini. L’Europa astratta senza confini di cui parla la sinistra e l’ Europa i cui confini vengono esaltati di cui vaneggia la destra sono lo stesso errore.
Per una pace perpetua
“Si danno forme storiche diverse di fedi… ma vi è una unica religione valevole per tutti i tempi”, scrive Kant. Come scrive Preve, “egli si mostra contento di questa diversità perché vi scorge lo strumento provvidenziale di sbarramento verso le pretese omologatrici di ogni dispotismo.”Kant, in altre parole, crede che esista una idea della ragione, a cui tutti gli uomini possono accedere (purché siano esseri pensanti!!!) per cui “la pacifica emulazione di popoli diversi è possibile. Essa potrebbe in una prima fase portare “ad un odio reciproco e al pretesto di guerra ma pure con il progredire della cultura e con il graduale riavvicinamento di tutti gli uomini in tema di principi produce l’accordo di una pace vera che non è prodotta o garantita come la pace di ogni dispotismo (vera tomba della libertà)” che comporta l’indebolimento delle energie dei popoli ma con la emulazione in una visione che mira ad un equilibrio di forze che sono vive e non mortificate
Attualizzando il passo di Kant possiamo dire che non dobbiamo farci distruggere i confini e abbattere i muri da chi, grazie a questa operazione, accentra il suo controllo economico sulle nostre vite; né possiamo avere come fine una super nazione accentrante; la vera integrazione europea è frutto di una maturazione lenta e graduale nella quale grazie alla crescita di una cultura solidale e plurale si giunga ad una vera pace tra i popoli. La pace è stata imposta ma come assoggettamento a un dispositivo economico; occorre che fiorisca anche una pace come convivenza culturale e sociale. Questa è la vera democrazia secondo la mia visione: occorre una mediazione tra l’eguaglianza e la differenza, tra l’ universalismo e il particolarismo. Come dice Gramsci bisogna valorizzare l’interesse nazionale ma non scivolare nella patologia della nazione che è il nazionalismo che separa e, nel contempo, non bisogna eliminare la separazione attraverso un accentramento al potere che omologa.
Il nuovo bipolarismo
L’universalismo astratto versus il particolarismo nazionalistico; il globalismo che distrugge la differenza versus l’esaltazione divisiva delle differenze sono la medesima trappola cognitiva, la medesima falsa opposizione interna al sistema. Come scrive Barcellona “La razionalità capitalistica ha bisogno della differenza tra chi lavora e chi non lavora”, tra i lavoratori autoctoni e i migranti, ha bisogno di creare una competizione tra i differenti strati della popolazione perché questa differenza il motore immanente e la giustificazione delle gerarchie sociali su cui si regge.” C’è stata una omogeneizzazione tra la vecchia classe borghese e il vecchio proletariato ovvero è avvenuta una proletarizzazione del ceto medio e una un imborghesimento del proletariato. Il capitalismo ha sottomesso entrambe le classi omogeneizzandole e contrapponendo ad esse la nuova classe dei migranti. Ecco perché la contrapposizione tra poveri nutrita dalla destra è interna alla logica del capitale (anche se paradossalmente sulla difesa dei diritti sociali e sulla questione della difesa della sovranità popolare e della valorizzazione dello stato nazione che non si faccia comandare dal mercato a volte, e lo dico provocatoriamente, è più di sinistra della cosiddetta sinistra)
Né di destra né di sinistra?
Io direi né con la destra né con la destra: né con la destra liberista di centro (la “sinistra” del pd e forza Italia) né con la destra nazionalista.
Abbiamo una situazione paradossale: una sinistra destra versus una destra sinistra al punto che Martina afferma che questo governo è il più a destra della storia della Repubblica e Berlusconi che si tratta del governo più a sinistra; questo perché abbiamo una sinistra dei valori che ha idee di destra in materia di economia e una destra dei valori che ha alcune idee di sinistra in materia di diritti sociali. Se dovessi scegliere preferisco le idee di sinistra e i valori di destra ai valori di sinistra e le idee di destra. Le idee sono più importanti dei valori. Tuttavia io aspiro a non essere schizofrenico, quindi mio muovo verso una sinistra sinistra.