Scriveva Leonardo Sciascia: «è soltanto nella festa che il Siciliano esce dalla sua condizione di uomo solo», ed effettivamente, a pensarci, le feste in Sicilia rappresentano importanti momenti di raccoglimento familiare.
Tra qualche giorno ricorrerà la tradizionale “Festa dei Morti”, una ricorrenza che, se da un lato, attiene alla commemorazione dei defunti, dall’altro si connota di usi e tradizioni che rappresentano un vero e proprio festeggiamento che unisce il mondo dei vivi con quello dei morti; un po’ come se rappresentasse un magico portale.
Tradizionalmente in Sicilia, la sera prima di questa ricorrenza si ripete un’antica filastrocca che recita così:
Armi santi, armi santi Io sugnu unu e vuatri siti tanti Mentre sugnu ‘nta stu munnu di guai Cosi di morti mittiminni assai |
Anime sante, anime sante Io sono solo e voi siete tante Mentre sono in questo mondo di guai Regali dei morti mettimene assai |
La filastrocca racconta di un’antica credenza che vuole che nella notte tra l’1 e il 2 novembre le anime dei morti vadano a fare visita ai familiari, portando con sé doni soprattutto per i bambini, generalmente giochi, balocchi e dolcetti tipici della Festa dei Morti: frutta martorana, pupi di zucchero, biscotti reginella o altri chiamati “ossa dei morti”. In alcune zone dell’isola era anche usanza regalare ai bambini scarpe ripiene di cioccolatini.
Quale che fosse il dono, la tradizione prevede che dolci e balocchi vengano nascosti opportunamente in giro per casa e che, la mattina del 2 novembre, i bambini vengano coinvolti in una vera e propria caccia al tesoro. Ritrovati i dolcetti e gli altri doni, ai bambini si racconta che questi siano stati portati nella notte dai loro parenti defunti che sono andati a trovarli. Oltre a rappresentare un momento molto gioioso per i più piccoli, questa tradizione rappresenta anche uno strumento per mantenere vivo il ricordo dei cari scomparsi nonché l’occasione per confrontarsi con un tema complesso come quello della morte in un modo gioioso e sereno.
Un po’ di storia…
La Festa dei Morti ha origine dall’incontro tra due tradizioni, una molto antica di natura pagana e un’altra di origine cristiana.
In particolare, prima di diventare festa di precetto per la Chiesa di Roma, la commemorazione di Ognissanti veniva già festeggiata in Inghilterra tra i celti; nel giorno di questa antica festa, conosciuta con il nome di Samhain (tutte le anime), si raccontava che, poiché fosse la notte più lunga dell’anno, il principe delle tenebre aveva il tempo di chiamare a raccolta tutti gli spiriti per permettere loro di passare dal mondo dei morti a quello dei vivi e ritornare così nei luoghi che abitavano quando erano in vita.
La scelta della Chiesa di festeggiare il giorno di Ognissanti il 1° Novembre, spostando la ricorrenza dal 13 maggio, secondo alcune interpretazioni e così come ipotizzato dall’antropologo Frazer, avrebbe come motivazione la volontà di creare una continuità tra la commemorazione cristiana e l’antica festa celtica; Secondo altre interpretazioni, invece, sarebbe stato proprio l’intento di far dimenticare i riti pagani a vantaggio di quelli cristiani la ragione di questo spostamento voluto da Papa Gregorio IV e sostenuto da tutti i vescovi.
Nel X sec. alla commemorazione di Ognissanti si affiancò la festa dei morti tradizionalmente celebrata il 2 Novembre.
Frutta martorana e pupi di zucchero: espressione dell’arguzia dei Siciliani
Sia la frutta martorana che i pupi di zucchero rappresentano, in qualche modo, la dimostrazione che in Sicilia davanti ad un ostacolo non ci si ferma, ma che al contrario si sperimentano delle possibilità creative espressione di arguzia e genialità.
Ne è un esempio, infatti, il tipico dolce di pasta di mandorle comunemente chiamato frutta martorana.
Originariamente questo dolce veniva confezionato a Palermo dalle suore del convento della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, a piazza Bellini. Nel 1194 la nobildonna Eloisia Martorana fece costruire il monastero benedettino accanto alla chiesa ed al convento, e fu da allora che l’intero complesso edilizio iniziò ad essere chiamato “della Martorana” in suo onore. Allo stesso modo, il nome venne attribuito ai dolcetti preparati dalle suore.
Si racconta che il giardino del convento fosse uno dei più belli della città e che nel suo orto crescessero alberi da frutto ed ortaggi che insuperbivano le suore che se ne prendevano cura. La bellezza del giardino fece presto il giro della città, tanto da incuriosire re Ruggiero II, o forse un vescovo, il quale decise di andare a fare personalmente visita al giardino.
Poiché era già autunno, gli alberi erano spogli e privi dei meravigliosi frutti, così come l’orto non era ricco come in altri periodi dell’anno di ortaggi. Ecco che quindi le suore escogitarono la soluzione di realizzare dei frutti con la pasta di mandorle e di colorarli con colori molto vivaci, rendendoli così esattamente identici a quelli reali. Realizzarono mandarini, arance, melograni, limoni, zucche e carciofi e con questi dolcetti adornarono l’orto ed il giardino. Fu da allora che iniziò la lunga tradizione della produzione e commercializzazione della frutta martorana. Poiché preparati in occasione della visita di un re, i dolci presero anche il nome di pasta reale, un dolce degno di un re!
Sembra incredibile, ma la storia racconta che poiché le suore erano molto impegnate nella produzione della frutta martorana, il sinodo diocesano di Mazzara del Vallo ne proibì la produzione con la giustificazione che questa attività sottraesse tempo alle attività liturgiche.
Per quanto riguarda i pupi di zucchero, chiamati anche “pupaccena”, si raccontano numerose storie sulla loro origine. Ho scelto di raccontarvi quella legata alla morte di un nobile decaduto.
In occasione della dipartita del nobile, i familiari fecero realizzare un busto raffigurante la sua effigie, così come da desiderio del defunto. Ma poiché i familiari non disponevano di denaro per poterlo fare realizzare in marmo, lo fecero realizzare in zucchero. Ultimate le esequie e poiché erano rimasti senza soldi, per la cena decisero poi di mangiare il busto di zucchero per cena, e quindi da qui ne deriverebbe il nome di pupo a cena.
Espressione, quindi, anche esso di un adattamento creativo, i Siciliani hanno nei secoli dimostrato, e tutt’oggi lo dimostrano, di saper fare di necessità virtù e di essere dotati di un’incredibile forza di adattamento.