In Italia abbiamo lungamente festeggiato la morte delle ideologie come un processo di liberazione. Un passaggio indispensabile per chiudere il conto con la vecchia politica ed aprilo con la nuova.
La cosiddetta morte delle ideologie dal mio punto di vista ha piuttosto comportato che gruppi crescenti di persone affrontassero il mondo senza una chiave di lettura. E l’attuale confusione di idee tra e negli schieramenti è in gran parte riconducibile a questo.
Uno dei temi di scontro che sconta l’assenza di una visione ideologica è, io credo, la questione immigrazione. Da una parte c’è la sinistra, che da sinistra rivendica l’apertura dei porti e l’accoglienza a qualunque costo quale elemento irrinunciabile della società giusta ed equa. Dall’altra la destra, rappresentata dalle posizioni della Lega, che è per la chiusura dei porti ed il rimpatrio dei clandestini. La sinistra attribuisce alla destra ed alla Lega delle posizioni razziste. La Lega pone la questione in termini puramente economici circa l’insostenibilità del sistema immigrazione come prospettato in Europa.
C’è un interessante scambio tra Salvini e Bersani. Da una parte la rigida intransigenza di Salvini sembra richiamare la destra più impietosa. Dall’altra l’apertura dialogante di Bersani sembra potere rappresentare la parte più progressista della società.
Prima di completare il ragionamento vi invito a leggere questo passaggio di una corrispondenza tra Carl Marx e Sigfrid Meyer e August Vogt suoi collaboratori:
«E ora la cosa più importante di tutte! Ogni centro industriale e commerciale in Inghilterra possiede ora una classe operaia divisa in due campi ostili, proletari inglesi e proletari irlandesi. L’operaio comune inglese odia l’operaio irlandese come un concorrente che comprime il livello di vita. In relazione al lavoratore irlandese egli si considera un membro della nazione dominante e di conseguenza diventa uno strumento degli aristocratici inglesi e capitalisti contro l’Irlanda, rafforzando così il loro dominio su se stesso. Egli nutre pregiudizi religiosi, sociali e nazionali contro l’operaio irlandese. Il suo atteggiamento verso di lui è più o meno identico a quello dei “bianchi poveri” verso i negri negli ex Stati schiavisti degli U.S.A. L’irlandese lo ripaga con gli interessi della stessa moneta. Egli vede nell’operaio inglese il corresponsabile e lo strumento idiota del dominio inglese sull’Irlanda.
Questo antagonismo viene alimentato artificialmente e accresciuto dalla stampa, dal pulpito, dai giornali umoristici, insomma con tutti i mezzi a disposizione delle classi dominanti. Questo antagonismo è il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese, a dispetto della sua organizzazione. Esso è il segreto della conservazione del potere da parte della classe capitalistica. E quest’ultima lo sa benissimo». (Karl Marx, Londra, 9 aprile 1870)
In sintesi, nel merito della questione irlandese Marx ravvisa quanto la presenza di manodopera irlandese a basso costo, ed il contestuale abbandono delle terre irlandesi, siano strumentali al capitalismo che su questa conflittualità tra poveri costruisce la sua forza. Da un lato l’eccesso di offerta di manodopera abbassa i salari in Inghilterra. Dall’altra lo spopolamento dell’Irlanda consente l’acquisizione di terre e beni a basso prezzo al capitalismo inglese.
Nel dialogo tra Bersani e Salvini, Salvini ha una posizione che tradizionalmente dovrebbe appartenere alla sinistra (probabilmente non sarà contento di sentirlo in questi termini), ovvero la tutela del reddito dei lavoratori. Bersani è più preoccupato della necessità della manodopera sul territorio, tema che dovrebbe appartenere alla destra (probabilmente non sarà contento di sentirlo dire in questi termini).
Affrontata da un punto di vista strettamente ideologico, la libera circolazione di uomini e beni è funzionale al capitale e quindi alle classi egemoni. Una politica che intenda realmente prendersi cura dei ceti meno abbienti, se vogliamo del popolo, deve necessariamente attuare azioni di protezione al fine di tutelare il potere d’acquisto dei salari. L’economia va regolata in entrate ed anche in uscita. La delocalizzazione della produzione, infatti, che all’interno dell’Europa avviene anche mediante finanziamento pubblico (sotto forma di incentivi europei per l’apertura di stabilimenti industriali nelle aree ad obiettivo 1), è pericolosissima se consideriamo la forbice di reddito grandissima tra i paesi membri, si pensi a Lussemburgo e Ungheria. Lasciato a se stesso il sistema porterà allo spostamento nei paesi a reddito più basso della produzione, condannando alla povertà i ceti lavoratori dei paesi a reddito più altro. Il sogno di una Europa unita che garantisce benessere crolla miseramente.
La contrapposizione tra blocchi post-ideologici pertanto ha fatto perdere di vista la questione politica al di là dei legittimi aspetti emotivi. Il neoliberismo, peraltro alla base delle politiche europee (gli accordi di Shengen e la visione demonizzante degli aiuti di stato dell’Europa sono tra gli aspetti più evidenti di questa impronta), ha necessità di alimentare flussi continui di manodopera a basso costo, perché senza una grande offerta di manodopera i prezzi dei salari salirebbero.
E sui nostri territori si realizza quanto già descritto da Marx in Inghilterra circa le due classi popolari di inglesi ed irlandesi in conflitto tra loro. In Sicilia dove questa contrapposizione non è ancora esplosa come al Nord, si comincia ad assistere nell’entroterra e nella campagna ad una crescente conflittualità, per la presenza di clandestini ed in genere immigrati sfruttati nel lavoro dei campi, che rendono fuori mercato il lavoro nella più antica e drammatica lotta dei poveri contro i più poveri.
Nella nostra epoca senza ideologie il mantra di una sinistra globalista ignora le oggettive difficoltà della popolazione inseguendo un sogno di società che, dal punto di vista meramente economico, è il vero sogno del capitalismo: un globalismo nel quale uomini e merci si possano spostare liberamente per garantire il massimo del profitto. Dall’altra parte, piaccia o non piaccia, la destra si fa carico delle istanze popolari, al punto da riceve l’appellativo di populista, al grido “aiutiamoli a casa loro”, che poi è il senso delle proposte di Marx relativamente alla questione irlandese.
Quindi per farla breve, a Salvini hanno dato dell’omofobo, del razzista, del populista, ma penso di essere il primo a dargli del marxista. E la cosa, se vogliamo drammatica, da chi come me ha votato e militato a sinistra un’intera vita, è che è l’unico marxista al momento in Italia.