I sindaci del PD insorgono al seguito del sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che dal confine di una città sommersa di immondizia, precipitata in un profondo degrado sociale ed ormai abbandonata al suo destino, recupera gli onori della cronaca nazionale, ergendosi a paladino dei diritti umani contro il decreto Salvini iniquo ed ingiusto.
Ma cosa dice esattamente il decreto?
La norma più discussa e sulla quale sta operando la ribellione dei sindaci capitanati da Orlando è sul diritto ad iscriversi all’anagrafe comunale con il solo permesso di soggiorno per i richiedenti asilo. Con il decreto Salvini il permesso di soggiorno vale come documento di riconoscimento, ma non è sufficiente ad iscriversi all’anagrafe cittadina.
La norma quindi non si riferisce ai 4 milioni che hanno un regolare permesso di soggiorno, ma a circa 98.000 persone che sono richiedenti asilo e sulle quali ancora gli uffici non hanno espresso parere. Mediamente vengono rigettate il 60% delle domande. In pratica, in attesa che la pratica venga esaminata la legge precedente, come il decreto Salvini, riconosceva le tutele umanitarie (il diritto alle cure, all’istruzione, ecc.), ma anche il diritto di inserimento in anagrafica. Questo da una parte comportava un sovraccarico soprattutto per i piccoli comuni, che riferisce il ministero avevano posto variamente la questione, dall’altro avviava il processo di inserimento nella società di un soggetto che poteva non avere il relativo diritto; nel 60% dei casi, per la precisione, il diritto non maturava. Il punto è che con le nuove norme i tempi di valutazione delle pratiche saranno accorciati di molto. Attraverso la semplificazione delle procedure, ma anche vietando il ricorso a stratagemmi come quello di effettuare nuovamente la domanda se respinta per guadagnare tempo.
Il ministero conta di riuscire a mettersi in pari con l’arretrato in circa un anno, ovvero con le norme che semplificano le procedure potrà smaltire il lavoro arretrato e mettersi al pari. Mantenere l’iscrizione significherebbe sottoporre gli uffici comunali ad un eccesso di lavoro non necessario visto che il tempo di attesa dei richiedenti asilo per ottenere lo status di rifugiato in breve tempo sarà azzerato. Nella fase transitoria, comunque, tutti i servizi saranno erogati presso il domicilio, ovvero il centro accoglienza, quindi nessuno rimarrà senza tutela.
Questa in sintesi è la tesi del ministero che ha promulgato la norma.
L’inserimento in anagrafica è un passo necessario per l’integrazione, ma non esaustivo. Delle 40.000 domande di asilo accolte nell’ultimo triennio solo 3200 hanno dato vita ad un contratto di lavoro e 240 ricongiungimenti familiari. In pratica oltre 36.000 persone su 40.000 nonostante inserite in anagrafe non hanno avviato un processo di integrazione.
Questo decreto non faciliterà in alcun modo l’integrazione rispetto a prima, perché l’integrazione è un problema complesso che in questi anni non è mai stato realmente affrontato. Dovrà esserlo certamente, insieme a battaglie vere contro la povertà.
Ma il decreto mette ordine, in un comparto tenuto nel disordine che costa 2,7 miliardi l’anno. E sappiamo tutti che il disordine, quando ci sono tanti soldi, serve l’interesse di alcuni.
Il Decreto, in altre parole, non riduce i diritti, ma prova a individuare chi ha il diritto ed a riconoscerglielo il prima possibile. Ovviamente sono norme scritte che possono non aver questo effetto. E sarebbe stato interessante un dibattito in questi termini che spiegasse perché eventualmente gli obiettivi che il ministro si è posto sono sbagliati o non potranno essere colti.
C’è poi una questione che probabilmente necessita una base di filosofia del diritto che non ho. E quindi faccio subito ammenda se le mie riflessioni dovessero sembrare ingenue.
Il decreto Salvini prevede tra le altre cose la perdita del diritto all’accoglienza nel caso i cui vengano commessi alcuni reati gravi, come terrorismo, stupro, mutilazione sessuale ed altri.
Questo provvedimento in tutta evidenza crea una differenza di trattamento tra un nato italiano ed uno straniero che ottiene il permesso di soggiorno. Perché un delinquente italiano resta tale a prescindere dai reati che commette.
Questa è in tutta evidenza una discriminazione. Due persone non sono in tutto uguali.
Io sono favorevole a questa discriminazione. Credo che il dovere di accogliere debba sposarsi con il dovere di essere accolto. E mentre lo penso sono consapevole di elaborare un pensiero che crea differenza tra uomini, in questo caso tra delinquenti.
Qualche giorno fa un amico mi ha detto una frase importante, ovvero che la democrazia deve proteggere se stessa, e può farlo solo esercitando delle scelte anche di potere.
Credo che una società che non vuole accogliere criminali stia commettendo una discriminazione utile a proteggere se stessa.
Va rilevato che l’attuale normativa, che finora è andata bene a tutti, non riconosce a tutti il diritto di accoglienza. Questo è riservato esclusivamente a soggetti che nel loro paese sono perseguitati per motivi politici, religiosi o di altra natura.
Dal punto di vista dei profughi di guerra il sistema dei richiedenti asilo ingolfato e non funzionante rappresenta una riduzione dei diritti di queste persone. Per le quali esistono meno risorse, meno servizi e meno strutture.
Il sistema dell’immigrazione in Italia prevede delle regole. Oltre i profughi hanno diritto ad essere accolti coloro per i quali esiste un contratto di lavoro. La povertà non è una ragione di accoglienza. E la povertà non rientra tra le ragioni umanitarie della normativa italiana che fa di un immigrato un profugo. Per quanto questo possa essere doloroso da dire e leggere.
Su questo punto è bene capirsi. Viviamo in un sistema economico profondamente ingiusto. Nel quale poche persone hanno la maggior parte delle risorse. I poveri nel mondo sono stimati in circa 800 milioni. Ovvero persone che vivono con meno di due dollari al giorno.
Questo è il punto nodale della vicenda.
Da una parte l’esigenza di uno stato, l’Italia, lasciato solo dall’Europa a gestire un problema abnorme. Dall’altra parte una emergenza umanitaria di dimensioni colossali sulla quale la società moderna non interviene.
Io credo che attualmente sia in atto una grande confusione tra il diritto di uno stato di proteggersi, proteggere il suo sistema di regole e valori, e la necessità etica di fare qualcosa per intervenire nelle scelte che l’umanità sta facendo e che sono inique, ingiuste e pericolose per la sopravvivenza dell’uomo stesso.
Ma sono due tavoli diversi. E sbaglia a mio avviso chi li confonde. Perché flussi incontrollati nel nostro paese sono alla base di una possibile destrutturazione del mercato del lavoro, che ha come obiettivo ultimo non di rendere i poveri del mondo ricchi come noi, ma noi poveri come i poveri nel mondo. E di questo io credo che un governo deve tener conto.