In risposta alle nuove richieste mosse dai cittadini, ma soprattutto per fronteggiare la preoccupante perdita di fiducia verso le istituzioni, i partiti hanno ritenuto buona cosa dotarsi di un codice etico.
L’epoca contemporanea è rappresentata da una crisi del sistema politico e dei partiti estremamente profonda.
La classe politica ha infatti dimostrato una crescente distanza dalle problematiche dei cittadini e dei territori e, al contempo, ha manifestato una supposta superiorità rispetto al sistema di valori condivisi dalla società, svelando così un’oligarchia autoreferenziale che ha prodotto disorientamento e la repentina perdita dei punti di riferimento da parte dei cittadini.
Il padroneggiare di interessi personali, l’illegalità, il ricorso alla corruzione, al clientelismo, perfino i conclamati rapporti tra politica e mafia hanno seriamente messo in discussione il rapporto delle comunità con le istituzioni ed i suoi rappresentanti.
L’effetto più evidente di questo comportamento è stato un progressivo allontanamento dei cittadini alla res pubblica, di cui poi l’astensionismo al voto è la sua manifestazione più evidente.
Il rimprovero che potremmo muovere nei confronti dei cittadini è quello di aver avallato, nonostante le evidenze, la possibilità che l’uomo politico potesse esimersi dal rispetto delle regole e dall’impianto di valori condivisi dalla comunità, forse per desensibilizzazione, forse per una sorta di accettazione gattopardesca.
Accettando che egli agisse in difformità alla morale, illegalmente, esente dal controllo della giustizia, restando quindi impunito, la società ha di fatto contribuito al processo di distacco della politica dagli interessi generali e dalle esigenze dei singoli e dei gruppi.
Qualcosa però sembra esser cambiato nel corso degli ultimi anni.
Una crescente consapevolezza ed un esacerbarsi delle condizioni di instabilità, in ambito familiare, sociale, professionale, della ridistribuzione delle risorse, hanno portato ad un più lucido riconoscimento delle carenze del sistema politico dei partiti.
Questa crescente consapevolezza insieme all’aumento della sperequazione economica ha portato ad una reazione di massa, favorendo la nascita di nuove forze politiche antisistema che sono entrate massicciamente all’interno della scena politica crescendo in misura direttamente proporzionale alla sfiducia nei confronti del sistema stesso.
I codici etici dei partiti
In risposta alle nuove richieste mosse dai cittadini, ma soprattutto per fronteggiare la preoccupante perdita di fiducia verso le istituzioni, i partiti hanno ritenuto buona cosa dotarsi di un codice etico.
E’ un innegabile passo avanti!
Tuttavia alcuni aspetti, che riguardano la natura di tali codici, andrebbero affrontati per comprenderne meglio la struttura, l’efficacia e, per induzione, la visione politica complessiva.
In questo articolo mi soffermerò sui codici etici adottati dal movimento 5 stelle e dal partito democratico.
Iniziamo dal movimento 5 stelle, il partito che ha ricevuto il maggior consenso elettorale alla competizione del 4 Marzo.
Ci sono tre aspetti importanti da evidenziare:
Ad una prima lettura colpisce fin da subito l’assenza di ogni riferimento agli iscritti del movimento, solo una volta si fa riferimento ad essi, ma li si cita indirettamente e senza che siano mai soggetto attivo del codice.
Il codice etico del movimento 5 stelle non riguarda le migliaia di cittadini iscritti al movimento, ma in senso esclusivo i candidati e gli eletti sotto il simbolo.
Questo aspetto richiede attenzione perchè mostra qualcosa di inusuale nelle democrazie occidentali: la totale sovrapposizione tra il livello politico e quello istituzionale.
Allora se gli iscritti non sono il movimento 5 stelle il codice etico non riguarda loro.
Molto strano per un movimento che si fa paladino della democrazia diretta.
Il secondo aspetto che emerge dalla lettura del codice etico del movimento 5 stelle è la presenza di un complesso di norme comportamentali cui, i candidati e gli eletti, sono tenuti a conformarsi nei riguardi del partito o nello svolgimento del proprio mandato istituzionale e di rappresentanza.
In generale sembra più una strategia difensiva a tutela del partito stesso più che una rappresentazione di un modello etico di politica, tanto è vero che in nessun passaggio si definiscono quali siano gli obblighi che è necessario assolvere nei confronti della società e dei territori.
Sarebbe potuto chiamarsi “regolamento interno per i candidati e gli eletti nello svolgimento dei loro ruoli” e non sarebbe cambiato nulla.
Un terzo aspetto che possiamo rilevare dalla lettura del codice etico del m5s è la trattazione di rigidi criteri di candidabilità dei soggetti politici e quindi il veto alla candidatura da parte di soggetti che hanno ricevuto una condanna.
Va detto che questo sia certamente una buona cosa e che oltretutto risponda a quel principio di onestà che è stato sempre il principale baluardo del partito di Grillo e Casaleggio; tuttavia ridurre la concezione etica alla sola teoria dell’onestà ed allo stato del proprio casellario giudiziario evidenzia a mio avviso una certa povertà di sguardo teorico complessivo.
Quale sia la cultura politica che emerge dal codice etico del m5s non è possibile evincerlo all’interno dei suoi articoli.
Passiamo al Partito Democratico.
Una cosa emerge subito: tutti gli articoli iniziano con “gli uomini e le donne del partito“.
Questo evidenzia un territorio più vasto a differenza di quello del m5s, fatto di cittadini e non solo di dirigenti con responsabilità politiche.
Nel suo impianto generale la cosa che si percepisce è la presenza di una visione ideale del mondo più definita, che fa della costituzione italiana la fonte primaria della propria comunità politica.
Nel complesso il codice etico del PD affronta tantissimi temi, che vanno dai diritti umani, le libertà individuali, la giustizia sociale, il richiamo all’autonomia della politica, la lotta per le disciminazioni, l’impegno a dar conto del proprio operato, il riconoscimento dei meriti, la sobrietà e la lotta al conflitto di interesse.
Anche nel caso del codice etico del PD si prevede una parte dedicata ai criteri di candidabilità.
Insomma una preghiera o un ideale di ciò che doveva essere ma non è stato?
Infatti alla luce delle profonde contraddizioni evidenziate nel corso degli ultimi governi targati PD
potremmo dire che tra le intenzioni “illuministe” del codice e le condotte reali della sua classe dirigente vi sia un gap difficilmente sanabile.
Come fa un partito che ha contribuito all’aumento della sperequazione socio economica del paese, che piuttosto che tutelare i diritti sociali sembra essersi impegnato nella loro puntuale distruzione e che non ha esitato a fare gli interessi di banche e potentati economici, a parlare di diritti sociali, sobrietà, riconoscimento dei meriti e di autonomia della politica?
Sulla questione controllo delle norme
Seguire convintamente delle norme etiche o rispondenti ad una morale collettiva, non è qualcosa che in genere procede in modo automatico, ma un processo attivo di interiorizzazione di valori e di norme.
Le rappresentazione che l’uomo fa della morale è sempre soggettiva e mai passiva, per questo una discesa anche superficiale all’interno delle teorie psicologiche e psicosociali che si sono occupate dello sviluppo della coscienza morale dell’individuo sarebbe utile per capire quest’ultimo aspetto, per capire cioè il rapporto tra norma morale collettiva e coscienza morale soggettiva, ma questo allungherebbe di troppo la questione ed uscirebbe fuori dagli obbiettivi limitati di questo articolo. Tuttavia intuitivamente come genitori lo sappiamo bene quanto sia difficile tratteggiare le regole del gioco con i nostri figli e stabilire con loro i limiti che è vietato oltrepassare.
Per questo motivo sarebbe auspicabile da parte dei partiti di dotarsi di organismi di controllo che garantiscano il rispetto delle regole.
Dal punto di vista dell’analisi generale del rapporto tra etica e politica credo che sia arrivato il momento di superare, anche se non negandola in toto, la visione ultra liberale lasciata in eredità da Benedetto Croce per il quale, ricordiamolo, al buon politico era concesso di agire fuori dalle norme della morale comune.
Affinché si possa realizzare un nuovo ideale che non si soffermi a giudicare l’uomo politico in base alla sola capacità e funzionalità sociale, come nella lezione crociana, si dovrebbe, a mio avviso, definire il senso autentico ed originario del “fare politica”.
La Sicilia può e deve rappresentare il terreno fertile perché si realizzi un nuovo corso, ben venga il tentativo sincero del recupero dell’etica in politica, ma che si definisca a partire da una concezione chiara dell’etica politica, cosi come si parla di un’etica medica o di un’etica religiosa ecc. Insomma di un soggetto che si definisce in base al suo aggettivo.
L’agire etico in politica in questo senso non dovrebbe prescindere dalla definizione della politica stessa, intesa come capacità razionale di calarsi nei problemi reali del popolo, di comprenderne le problematiche e di proporre rimedi efficaci.
La vicinanza empatica ai problemi dei territori, il saper parlare parallelamente al cuore, alla testa ed alla pancia del paese, preservando tuttavia lucidità e razionalità nei processi di decision making e di problem solving accorcerebbe la distanza tra la classe politica e la società oltrepassando cosi la mera “etica riparatoria”, in favore di una politica del saper fare e del saper essere che è etica di per sè.
Il valore ed il bene della comunità deve definirsi dall’adesione ad un sistema di credenze e valori (cum munia) in cui il buon politico è il primo buon cittadino e la razionalità del suo buon operare in favore del bene comune la migliore garanzia di eticità.