Nel 1919 Giovanni Gentile filosofo ed uomo di cultura siciliano, a cui si deve una importantissima riforma della scuola, scrisse un interessante studio sulla cultura siciliana dell’800. In quest’opera viene analizzato il processo che creò e consolidò nella cultura siciliana quel rassegnato fatalismo che tutti noi conosciamo, e che forse è giunto il momento di combattere.
La Sicilia è considerata una terra di bellezza inaudita, piena di tesori naturali da scoprire e luogo dove le più antiche civiltà umane si sono stanziate nel corso dei secoli, ma, a questa bellezza naturale e alla meraviglia di fronte ai tesori del passato, non si accosta mai un giudizio positivo sulla società civile e politica siciliana, e sono gli stessi siciliani a pronunciare tali giudizi!
Questo non sarebbe un male se il giudizio in questione funzionasse da punto di partenza per un miglioramento della società e dell’amministrazione siciliana, ma, purtroppo, a tale presa di coscienza segue un atteggiamento di accettazione passiva dello stato di cose esistente: tanto nulla può cambiare, inutile impegnarsi. Questo atteggiamento di fronte al mondo e alla vita tutto siciliano, che chiameremo realismo fatalista, fa si che i siciliani vivano in una sorta di “eterno presente”, senza guardare al futuro con speranza e rapportandosi al passato in modo nostalgico con punte di ingenuo orgoglio regionale. Tutto ciò non è un caso: non è stato deciso da una “mano esterna”, ma deriva da precise dinamiche storico-politiche e storico-culturali avvenute in Sicilia tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento.
Ad aiutarci a delineare il contesto storico-culturale siciliano viene in soccorso Giovanni Gentile, filosofo siciliano nato a Castelvetrano nel 1875, il Gentile partendo dalle teorie hegeliane propone una concezione della realtà come in continuo sviluppo (sviluppo di cui è fautrice la soggettività e non una qualche “oggettività” metafisica) e non statica e immutabile, al di là degli avvenimenti storici considerati solo contingenti. È proprio questo che manca al senso comune siciliano: una visione della società come in progresso, dunque perfettibile, migliorabile, grazie all’impegno di ciascuno. La concezione della realtà come in perenne sviluppo e con il soggetto fautore di tale sviluppo, calata su un piano più concreto e pratico, come quello del rapporto tra siciliani e società siciliana, può essere utile per eliminare sia la visione del mondo fatalista e conservatrice, sia l’immagine del popolo siciliano come di un popolo passivo di fronte alle dominazioni delle più grandi civiltà della storia nel corso dei millenni, facendo di Gentile sicuramente un solido punto di partenza per un riscatto sociale della nazione Siciliana.
LA SICILIA TRA SETTECENTO E OTTOCENTO
Nell’opera “Il tramonto della cultura siciliana”, pubblicata nel 1919, Gentile attua un’analisi critica del contesto sia storico-politico, sia storico-culturale, della Sicilia tra la fine del 1700 e i primi decenni del 1900, ricercando le cause della chiusura, dell’essersi ripiegata su se stessa, della cultura siciliana da un lato, e le cause del permanere di istituzioni sociali ed economiche non liberali per molto tempo rispetto al resto dell’Italia e dell’Europa: due fratture che, secondo il filosofo di Castelvetrano, hanno segnato la storia della Sicilia e del suo popolo. Tra la fine del 1700 e la metà del 1800 la Sicilia vive un isolamento culturale rispetto al resto della penisola: numerosi viaggiatori dell’epoca riportano nelle loro memorie come i siciliani fossero all’oscuro dei più recenti avvenimenti che stavano sconvolgendo l’Europa. Il distacco tra Napoli e Sicilia era simboleggiato dalla costituzione siciliana dell’epoca che garantiva alla Sicilia autonomia amministrativa e un proprio parlamento.
Con l’abolizione della costituzione siciliana post Restaurazione (1815) l’individualità nazionale siciliana si fa più marcata e si tingerà del liberalismo che animava i moti risorgimentali italiani, ma con tendenze autonomiste. Se la coscienza politica dei siciliani si farà più marcatamente liberale, per quanto riguarda le istituzioni politiche avverrà il contrario, poiché, non essendo stata invasa da Napoleone, la Sicilia tardò a liberarsi dall’assolutismo borbonico.Il conservatorismo politico siciliano di quegli anni non ha cause culturali, perché le idee liberali circolavano, ma politiche, poiché furono i Borbone a censurare ed a punire coercitivamente qualsiasi espressione liberale ed autonomista in Sicilia. Il tradimento da parte dei piemontesi delle promesse di autonomia fatte ai siciliani durante il processo di unificazione, produsse l’effetto di un trinceramento culturale da parte degli intellettuali siciliani che rimasero ancorati alla visione del mondo materialista della filosofia, delle scienze (in particolare della storia) e del mondo in generale, proposta dagli illuministi, ed estranei al rinnovamento avvenuto in tali ambiti grazie al Romanticismo.
LA FILOSOFIA IN SICILIA TRA SETTECENTO E OTTOCENTO
Oltre questi avvenimenti storici che hanno per lo più influenzato la storia delle istituzioni politiche, economiche e sociali siciliane, Gentile analizza ed espone ciò che è avvenuto all’interno della storia della filosofia siciliana del periodo, l’elemento che ha maggiormente condizionato la mentalità dei siciliani che abbiamo definito come realismo fatalista. Una cosa è infatti l’Illuminismo politico, diffuso tra gli intellettuali siciliani e duramente represso dai borbone, un’altra cosa è invece la concezione della scienza e la teoria della conoscenza portata avanti dagli illuministi e diffusasi anche in Sicilia alla fine del 1700. L’Illuminismo professava una visione del mondo naturalista, secondo la quale l’uomo è elemento della natura al pari delle cose fisiche e degli animali (dunque sottoposto alle medesime leggi meccanico-naturali), una concezione della scienza materialista, secondo la quale ogni scienza indaga fatti concreti, limitandosi all’analisi e alla descrizione dei dati acquisiti (questo, per gli illuministi vale sia per le scienze naturali, sia per la storia e tutte le altre scienze oggi chiamate “umane”). Dati questi presupposti qualsiasi discorso intorno a qualcosa di non empirico, come Dio o l’anima ad esempio, sono discorsi fantasiosi e immaginari per gli Illuministi. Queste teorie illuministe trovano il loro maggior rappresentante tra gli intellettuali siciliani in Domenico Scinà (1765-1837). Riportando le parole dello stesso Scinà, Gentile sottolinea come egli considerasse vere scienze soltanto quelle naturali, le quali hanno il compito di portare ad evidenza ciò che i nostri sensi attestano, ovvero la costanza dei fenomeni osservati, una successione di fatti simili e una ripetizione ininterrotta dei medesimi avvenimenti. Gli storici siciliani dell’epoca sposarono le teorie di Scinà e la loro ricerca si limitò all’analisi degli avvenimenti (i fatti storici) evitando qualsiasi tentativo di comprensione delle dinamiche storico-sociali che vi stavano dietro. Scinà concepisce la ragione umana come limitata, poiché essa può spiegare i fatti empirici, ma non andare oltre essi e comprenderli nella loro essenza. Questo atteggiamento, che lo scienziato e il ricercatore di qualsiasi ambito in generale dovrebbe assumere ad avviso di Scinà, può essere definito di tipo contemplativo, in cui il soggetto non è parte attiva del fenomeno che sta analizzando, ma uno spettatore distaccato. Questo atteggiamento è pericoloso per quanto riguarda l’analisi della storia e della società poiché preclude la comprensione del contesto storico-sociale in cui si vive. Nel resto dell’Europa e nella penisola italiana si andavano diffondendo nei primi decenni del 1800, in reazione alla visione del mondo naturalista portata avanti dall’Illuminismo, il Romanticismo letterario e l’Idealismo filosofico: queste due correnti esaltavano le scienze storiche rispetto a quelle naturali, intendendo la ricerca storica come si ricerca sui fatti, ma con l’obiettivo di svelarne l’essenza, ovvero il senso che essi hanno rispetto all’intera storia umana. In Sicilia invece si diffonde un “patriottismo anti-romantico” teso a difendere l’identità culturale dell’isola rispetto a quella continentale. A causa di questo evento la cultura siciliana si precluse il più grande guadagno della cultura romantica, ovvero una concezione della storia non legata soltanto ai fatti e agli eventi, ma attenta a ciò che di “spirituale” (non in senso strettamente religioso, ma nel senso di “non materiale”, come può essere ad esempio la “volontà di un popolo” o il concetto di “libertà”) è in atto nella storia e nella società umana, con la relativa concezione della ricerca storica in cui lo storico è direttamente coinvolto, dato che vive in un contesto storico-sociale, con i fenomeni che sta analizzando. Da quest’ultima concezione della storia ne viene fuori una concezione della conoscenza non contemplativa e descrittiva della realtà, come se essa fosse statica e immutabile, ma di una conoscenza dinamica, che segue la realtà nel suo svilupparsi. L’unificazione italiana non cambiò la situazione culturale siciliana: nonostante il governo mandasse professori universitari “continentali” per diffondere la cultura romantica (sulla quale era fondato il mito storico del Risorgimento italiano, su cui a sua volta era fondata la legittimità dell’egemonia sabauda sull’intera penisola italiana), gli intellettuali e con loro gli studenti, per reazione al tradimento delle promesse di autonomia fatte alla Sicilia da parte del Piemonte, continuarono a professare la visione del mondo naturalista e la relativa concezione della ricerca scientifica modellata su quella delle scienze naturali.
COSA FARE OGGI?
Gentile conclude il suo scritto facendo notare come di recente una nuova generazione di intellettuali stava diffondendo l’idealismo filosofico nelle università siciliane, stavolta con successo. Ma se questo è avvenuto per il mondo accademico ed intellettuale siciliano, non è avvenuto lo stesso nel senso comune del siciliano medio, il quale, anche se non ne è consapevole, continua a portare avanti nella sua quotidianità la visione del mondo naturalista che ha caratterizzato la Sicilia nei secoli analizzati da Gentile. Mettendo insieme il discorso di Gentile con l’introduzione all’articolo si può benissimo affermare che il realismo fatalista, attraverso il quale il siciliano ai giorni nostri si rapporta alla società in cui vive, è un effetto degli avvenimenti culturali avvenuti nei secoli precedenti. L’accettazione passiva della realtà sociale in cui vive da parte del siciliano ha avuto origine dai modi di concepire la storia come un insieme di fatti, e la ricerca dello storico come un’analisi e una descrizione di tali fatti, diffuse in Sicilia in epoca moderna. Un problema che a prima vista potrebbe sembrare di pertinenza di discussioni tra accademici, come quello della differenza tra scienze naturali e scienze storico-sociali, in realtà influenza la vita quotidiana di tutti noi e che porterà il Gentile a quella riforma della scuola di cui oggi si sente tanto la mancanza. È urgente il dover trovare una soluzione a questa situazione, perché il più grave problema della Sicilia è la mancanza di responsabilità civile, di rispetto per ciò che è pubblico della maggior parte dei siciliani, che siano essi politici o comuni cittadini, ed è proprio tale mancanza, causata da quell’atteggiamento contemplativo di fronte la società e la storia diffusa in Sicilia fino all’età contemporanea, la causa originaria di molti dei problemi che ci affliggono. Sia i più piccoli dei gesti incivili, come abbandonare dei rifiuti per strada, sia i più grandi, come ad esempio utilizzare la politica, che dovrebbe essere la tecnica di amministrazione del bene pubblico in vista della felicità della popolazione, per i propri interessi personali sono determinati da questo scarso senso di responsabilità civile da parte dei siciliani, da questa scissione (splitting) tra pubblico e privato, come se si sentissero distaccati, deresponsabilizzati e non partecipi del “pubblico”: è proprio qui che sta il condizionamento negativo maggiore ricevuto dal senso comune siciliano dalla visione del mondo naturalista. La via da seguire per cambiare la situazione culturale in Sicilia è quella dell’educazione dei cittadini, siano essi minorenni, adulti o anziani, attraverso le varie istituzioni sociali, come ad esempio centri e associazioni culturali, ma in particolare come la scuola e i partiti politici, infatti professori, politici e intellettuali siciliani dovrebbero fungere da avanguardia verso una visione della società che permetta di migliorarla e non di tenerla incatenata nelle solite dinamiche storico-sociali, che non ne permettono il progresso, svolgendo la funzione di modello sociale a cui il siciliano può ispirarsi per sviluppare una propria coscienza e responsabilità civile. Il siciliano deve riuscire a modificare la sua concezione e il suo modo di rapportarsi alla società e passare da un modo distaccato, non coinvolto, ad un modo attivo di rapportarsi ad essa, quella che odiernamente viene chiamata cittadinanza attiva, che prevede la piena consapevolezza della responsabilità di ciascuno di noi sull’andamento generale della società in cui viviamo. Sicuramente non è un progetto semplice e realizzabile a breve termine, ma finché una generazione di siciliani non si deciderà a prendere le decisioni necessarie a modificare la società e la cultura siciliane, le cose non cambieranno mai e le future generazioni saranno destinate o a fuggire o ad adattarsi alla società siciliana allo stesso modo con il quale un’animale si adatta all’ambiente, al solo scopo di sopravvivere.