Raccontata dai Normanni all’epoca del loro insediamento in Sicilia, la leggenda risale al 1200 e narra del redivivo Re Artù e della sua dimora sull’Isola.
Raccontato in una veste insolita e rappresentato non più come regnante attorniato dai leggendari cavalieri della tavola rotonda ma come uomo debole e ferito, la leggenda narra di ciò che accadde dopo la sua sconfitta in battaglia per mano del figlio Mordred, nato dal legame incestuoso con la sorellastra, la fata Morgana.
Ferito in battaglia si racconta che fu proprio la fata ad accompagnare il re bretone su quella terra straordinaria bagnata dalle turchesi acque del Mediterraneo.
In un luogo leggendario, protagonista di innumerevoli storie e leggende, Re Artù venne accompagnato sull’Etna per rinsaldare i tronconi dell’epica spada Excalibur spezzatasi nel corso del duello.
Secondo altre interpretazioni della leggenda il desiderio di Artù di far tornare Excalibur al suo originario splendore ed alla sua straordinaria potenza fu soddisfatto da Dio che gli mandò in soccorso l’arcangelo Michele.
Michele lo accompagnò in groppa al suo cavallo bianco, fino al grande cratere infiammato dell’Etna perché si esaudisse quel suo ultimo desiderio.
Tra le fiamme della leggendaria montagna, Artù unì i due tronconi di Excalibur, che si rinsaldò, e poi ricercò per sé un riparo tra le rocce attendendo nella notte e tra le preghiere il trapasso del suo spirito.
Straordinario ed inatteso fu però lo spettacolo che lo attese il giorno seguente.
Trascorsa la notte, ed ancora dolente per le ferite riportate nel costato in battaglia, il re poté osservare le meraviglie che lo circondavano: vide verdeggianti pianure ricolme di alberi, frutti e fiori, colorati giardini profumati, l’azzurro del mare e cieli limpidi e trasparenti.
Estasiato da queste immagini, Arù pregò Dio che lo lasciasse in quel luogo per sempre e Dio accolse il suo desiderio.
Nel frattempo, nei villaggi limitrofi iniziò a diffondersi la voce che una presenza straordinaria avesse iniziato ad abitare il vulcano.
Si racconta che un giorno la più bella delle creature delle stalle del Vescovo di Catania, un indocile cavallo bianco come la neve, dalla lunga criniera di seta e gli occhi scintillanti come fiamme, scappò dalla scuderia e iniziò a galoppare in gran velocità lungo le ripide pareti del monte Etna e vani furono i tentativi dello stalliere di inseguirlo, tanto che presto lo perse di vista.
Il ragazzo vagò per giorni e notti fino a quando fece un incontro straordinario.
Era il Mago Merlino, che gli disse che sapeva come fare per ritrovare il suo cavallo e gli indicò la strada.
Il ragazzo seguì i suggerimenti del vecchio dalla lunga barba, pur non sapendo che si trattasse proprio di Merlino, e seguendo le sue indicazioni si trovò in cima al monte Etna ed attraversato il cratere infiammato e rosseggiante, seguitò per un sentiero che lo condusse fino ad una pianura verdeggiante.
Lo spettacolo che si aprì agli occhi del ragazzo era di una bellezza straordinaria, vi erano alberi e fiori di ogni genere ed, in fondo, un castello di cristallo splendente.
Strabiliato da quella visione straordinaria e seppure con timore, lo stalliere decise di entrare nel castello e qui, in una grande sala, vi trovò Re Artù, ancora dolente e ferito, adagiato su un grande letto regale.
Il Re gli raccontò la sua storia a cominciare dalla battaglia con Mordred e disse al ragazzo che solo il Vescovo sarebbe dovuto andarlo a prendere e per questo aveva lì condotto il suo cavallo.
Si raccomandò così al ragazzo che tornasse a Catania e che raccontasse di quell’incontro al Vescovo, dicendogli che egli sarebbe dovuto andarlo a prendere non oltre il quattordicesimo giorno altrimenti sarebbe morto.
Consegnatogli dei doni ed un prezioso mantello, Artù licenziò il ragazzo che prontamente fece ritorno a Catania, ma per sua disgrazia non fu creduto dal Vescovo che, al contrario, credette che lo stalliere avesse venduto il cavallo per acquistare gli oggetti che egli gli aveva mostrato e per questo lo fece prontamente imprigionare.
Trascorsi i 14 giorni il Vescovo morì, agli occhi della gente in modo misterioso ed inatteso.
Per quanto riguarda Re Artù si racconta che egli ancora viva sull’Etna, poiché quel regno gli era predestinato. SI narra che galoppi in sella al cavallo dal bianco pelo di seta e che cavalchi di giorno lungo le distese deserte del vulcano con il suo rosso mantello svolazzante nel vento e la spada fiammeggiante delle fiamme del vulcano.
Ogni tanto egli lascia l’isola per portare le arance dorate di Catania ai bambini della sua terra e quelli sono i momenti in cui il vulcano si agita per l’assenza del re, eruttando senza pietà la lava dal fondo della terra nel fragore dei tuoni e facendo tremare la terra provocando lo spavento degli uomini.
Solo al suo ritorno il vulcano si placa, quando il Re pianta sul magma bollente la sua spada placando la terra e il suo ribollire.