Dopo la richiesta di maggiore autonomia da parte di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nel 2017 e la sottoscrizione di alcuni accordi preliminari con il governo Gentiloni, si è acceso un dibattito intorno alla cosiddetta autonomia differenziata, termine con il quale si indica la possibilità da parte delle regioni a statuto ordinario di ottenere autonomia amministrativa in determinati ambiti. Il tema dell’autonomia differenziata è strettamente legato a quello del federalismo italiano che ha le sue radici nei moti risorgimentali, da sempre contrastato dalla visione centralista della tradizione politica italiana la quale ha invece le sue radici nel processo di unificazione della penisola diretto dalla casata sabauda.
Gli articoli della Costituzione che regolano l’autonomia differenziata
A permettere il processo di ottenimento dell’autonomia differenziata sono due articoli della costituzione italiana (Art. 116 e Art. 117), che fanno parte del Titolo V della Costituzione il quale tratta il rapporto tra lo Stato e gli enti locali. L’Art. 117 stabilisce quali ambiti amministrativi sono di pertinenza esclusiva dello Stato (politica estera, immigrazione, difesa, ordine pubblico e sicurezza, ecc.) e in quali invece Stato e regioni concorrono (istruzione, sanità, infrastrutture, formazione professionale, ecc.) nel senso che è la Regione a legiferare, ma i principi in base ai quali formulare le leggi li decide lo Stato.
L’Art. 116, oltre a istituire le regioni a statuto speciale, al comma 3 afferma che vi è la possibilità per le regioni a statuto ordinario di ottenere autonomia negli ambiti che l’Art. 117 prevede tra quelli in cui Stato e regione concorrono, oltre che l’opportunità di ottenere autonomia in alcuni ambiti tra quelli che invece l’Art. 117 indica come di pertinenza esclusiva dello Stato, ovvero l’istruzione, la tutela dell’ambiente e l’amministrazione della “giustizia di pace”.
Questi due articoli sono stati modificati nell’Ottobre 2001 quando, sotto un governo di centro-sinistra presieduto da D’Alema, si attuò la modifica del Titolo V della Costituzione (precedentemente l’Art. 116 si limitava a stabilire l’esistenza delle regioni a statuto speciale e l’Art. 117 indicava gli ambiti amministrativi di pertinenza delle Regioni, e non quelli dello Stato e in cui Stato e Regione concorrono).
Le richieste di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna
Tutti e tre gli accordi preliminari tra lo Stato e queste tre regioni siglati tra il 2017 e il 2018 riguardano i seguenti ambiti di competenza amministrativa:
- Rapporti internazionali e con l’UE;
- Istruzione;
- Tutela del lavoro;
- Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema;
- Tutela della salute.
Inoltre l’accordo con la Lombardia dice espressamente che la regione vuole nel futuro estendere l’autonomia amministrativa anche al sistema tributario e al governo del territorio.
Recentemente anche la Liguria ha avviato l’iter per attuare l’autonomia differenziata, in particolare è interessata ad ottenerla nell’ambito di amministrazione dei porti e delle infrastrutture, oltre che del commercio.
Lo scopo di queste regioni che chiedono l’autonomia differenziata è quello di poter gestire in modo più efficace e tempestivo le criticità presenti sul loro territorio, cosa che una gestione centralizzata non permette.
L’autonomia e il federalismo nella costituzione italiana
L’autonomia differenziata rappresenta una possibilità di decentramento del potere all’interno dell’assetto istituzionale italiano ed è stata sempre criticata e accusata di attentare all’unità nazionale e di tradire lo spirito della costituzione. In realtà le cose non stanno proprio così.
Il federalismo è stato l’anima del risorgimento italiano, in particolare di quello siciliano, un’anima tradita dal Regno del Piemonte e dalla sua gestione centralizzata dello Stato italiano post unificazione. Allo stesso modo il federalismo era presente durante i lavori dell’assemblea costituente post seconda guerra mondiale.
L’autonomia differenziata non è contraria allo spirito della Costituzione, come alcuni detrattori del processo in atto vorrebbero far credere, ma si rifà all’Art. V della Costituzione che, se da un lato afferma che la Repubblica è una e indivisibile, dall’altro “riconosce e promuove le autonomie locali. Attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo e adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.”
Nell’Art. V è sintetizzata la vera anima del processo di stesura della costituzione italiana, un assetto che riesca a garantire l’autonomia locale, senza però sfaldare l’unità della Repubblica. Personalmente non capisco tutto questo allarmarsi per l’unità dello Stato italiano, anche una repubblica federale ha la sua unità. Un’unità che parte dal basso, dalle unità territoriali più piccole, fino a formare l’unità statale. Una vera unità, diversa da quella imposta dall’alto e “da lontano”.
La Sicilia e l’autonomia differenziata
La Sicilia potrebbe sembrare estranea all’argomento dell’autonomia differenziata, ma in realtà il processo di decentramento in atto rappresenta un’opportunità per la nostra regione.
Dato che le regioni ordinarie otterranno maggiore autonomia, lo stesso può avvenire per le regioni che sono già a statuto speciale.
La Sicilia potrebbe ritornare alla sua tradizione politica pre-unitaria, ovvero quella del cosiddetto self-government, che rappresenta il gradino più alto dell’autonomia di un ente locale rispetto allo Stato di appartenenza.
Tutto questo sarebbe fattibile se lo statuto siciliano fosse stato attuato nella sue pienezza: in particolare non sono mai attuati gli Art. 36 e 37, che regolano le entrate tributarie spettanti alla regione siciliana. La questione è oggetto di un contenzioso tra regione Sicilia e Stato da decenni, che ha portato all’emanazione del D.P.R (Decreto Presidente della Repubblica) 1074\65 il quale afferma che spettano alla regione Sicilia tutte le entrate fiscali derivanti dal suo territorio. A causa dell’eccessivo servilismo verso il governo centrale da parte della classe politica siciliana, questo decreto non si è mai attuato pienamente, ma secondo l’interpretazione data dal Ministero dell’economia.
Prendendo ad esempio l’Irpef: se si dovesse attuare pienamente il D.P.R alla Regione spetterebbe l’Irpef versato anche dai dipendenti degli enti pubblici statali con sede in Sicilia e non il contrario come invece pretende il Ministero dell’Economia.
L’interpretazione da dare al Decreto non riguarda solo l’irpef, ma tante altre imposte: si tratta di diversi miliardi di euro che potrebbero essere investiti per risolvere i problemi della nostra regione. L’autonomia tributaria è un decisivo passo verso il self-government.
Il self-government è la via per focalizzare tutte le risorse della nostra regione sui problemi del nostro territorio, in modo tale da trovare soluzioni efficaci a partire “dal basso” e non subire le decisioni che vengono “dall’alto” e “da lontano”.
Recentemente vi è stato uno scambio di vedute tra il movimento politico dei “Siciliani Liberi” e il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia. In sintesi i Siciliani Liberi chiedono che, prima che si attui il percorso di automia differenziata del Veneto e delle altre regioni che l’hanno richiesta, venga attuato pienamente lo statuto siciliano, poiché ciò danneggerebbe in qualche modo la Sicilia. Zaia risponde sottolineando come la precaria situazione siciliana sia dovuta alla cattiva gestione delle risorse pubbliche e ironicamente ricorda al movimento politico che se devono lamentarsi di qualche cosa, lo devono fare con le loro istituzioni locali e non ostacolare il percorso verso l’autonomia delle altre regioni.
La risposta di Zaia non piace a Siciliani Liberi i quali, in modo direi confuso ed emotivo, rispondono dicendo che il malgoverno non è solo prerogativa della Sicilia e che tutti i partiti politici siciliani fanno schifo, compresa la Lega siciliana (addirittura definendoli la “vergogna assoluta” della Sicilia odierna).
Vorrei ricordare a Siciliani Liberi che i leghisti siciliani hanno per obiettivo ciò che nessun governo regionale ha mai avuto il coraggio di attuare, ovvero la completa autonomia della Sicilia nel pieno interesse del popolo siciliano.
A questo obiettivo i leghisti siciliani, uniscono il ricambio generazionale della classe politica siciliana, necessario in vista dell’attuazione dell’autonomia tributaria. Zaia ha ragione nel sottolineare il problema del “malgoverno” siciliano come causa principale della disastrosa situazione siciliana e i leghisti siciliani sono consapevoli di ciò.
L’autonomia tributaria necessita di una classe politica non clientelare e non collusa con la criminalità organizzata per evitare sprechi dell’enorme gettito fiscale che ne deriverebbe. Inoltre necessita della competenza amministrativa da parte della classe politica per investire al meglio e in modo efficiente le risorse fiscali siciliane.
La Lega Sicilia è il partito che possiede questi requisiti per attuare finalmente il buon governo che tutti i siciliani meritano.