Ancora oggi in Sicilia e nel linguaggio comune si usa il termine curtigghio per descrivere il pettegolezzo, e curtigghiara è l’appellativo con cui si usa definire chi non si fa i fatti propri, chi spettegola sulla vita altrui, chi nel chiacchiericcio giudica e interviene un po’ su tutto.
Ma a quale storia è legato e cosa si nasconde dietro i segreti del curtigghio?
In bilico tra favola e stregoneria, la storia dei curtigghi si intreccia alla leggenda delle donne di fuora, donne del mistero rappresentate a volte come fate, altre come streghe, che si dice abbiano un rapporto privilegiato con gli spiriti e con le forze della natura.
Esse sono chiamate anche donne di notti (Caltanissetta), dunnuzze di locu (Sambuca di Sicilia), patruni di casa (Contea di Modica), belle signore ed hanno uno stretto legame con le storie dell’immaginario magico siciliano.
La leggenda racconta che le donne di fuora fossero dotate di straordinaria bellezza, estremamente ordinate, composte e dedite alla cura dei figli e della casa; sono ricordate come esseri soprannaturali, dalle virtù straordinarie e dotate di un forte senso della giustizia.
Secondo la leggenda, nel segreto della notte, le belle signore, si dissociano dal proprio corpo materiale e, sotto forma di spirito, escono dalle loro case per incontrarsi in concilio, per far visita agli spiriti dell’aldilà per ricevere consigli e risposte o per sollazzare lo spirito di qualche prescelto.
Tra le strade del più antico mercato di Palermo, il mercato di Ballarò, sorge una torre, che secondo la leggenda popolare è il luogo dove le belle signore abitavano o si riunivano. Qui, secondo la tradizione, le donne di fuora portavano gli uomini e le donne che rapivano durante la notte coinvolgendoli in balli propiziatori, banchetti e divertimenti per poi riaccompagnarli prima dell’alba nelle loro case. Esse li conducevano lontano, li portavano al mare e li facevano camminare sull’acqua senza che si bagnassero.
Al risveglio, ai prescelti restava una piacevole sensazione di beatitudine e serenità e la sensazione di aver fatto un bel sogno, così come le belle signore alle prime luci dell’alba si dissolvono in immagini oniriche.
La piazzetta di Palermo dove sorge la torre prende ancora oggi il nome di Cortile delle Fate, proprio in ricordo delle 7 bellissime fatte che secondo la leggenda abitavano il curtigghio di Palermo.
Secondo altre storie del folklore dell’isola, le donne di fuora erano 33 potenti creature che lasciato il corpo materiale, vagavano sotto forma di spiriti per raggiungere la Grande Madre, chiamata anche Mamma Maggiore o Fata Maggiore, loro sovrana, e lì si riunivano in concilio per scambiarsi consigli, auspici, proporre premi e castighi.
Secondo alcune storie della tradizione isolana, la Grande Madre sarebbe la Fata Morgana e, in effetti, c’è un accordo rispetto alla storia di entrambe le fate dell’immaginario popolare e la città di Messina dove, si dice, abitassero entrambe.
Narra la leggenda che per attrarre la visita di una bella signora e per riceverne così la benedizione, dopo aver messo minuziosamente in ordine la propria casa, bisognava bruciare, entro la mezzanotte, incenso, alloro o rosmarino e pronunciare una particolare formula che ne dichiarava l’attesa. Attratta dai profumi della casa la donna di fuora faceva quindi il suo ingresso nella casa passando dal buco della serratura o dallo spioncino della porta in modo del tutto invisibile e segreto. Se accolta con l’offerta di banchetti prelibati, musiche e balli, secondo la leggenda la bella signora avrebbe ricambiato la buona ospitalità propiziando salute e fortuna alla casa e ai suoi abitanti.
Nella tradizione culturale siciliana, la visita delle belle signore poteva essere testimoniata dalle trizzi di donna, le trecce di donna, nome con il quale ancora oggi in alcune località dell’isola si descrivono gli arruffamenti dei sottili capelli con i quali i bambini si svegliano al mattino.
Nella località di San Carlo, a Chiusa Sclafani, per esempio, le trecce di donna erano doni che le vecchie matrone offrivano alle giovani madri; intrecciando i capelli dei loro bambini esse ne celebravano con gioia l’arrivo e la presenza in casa.
I trizzi di donna testimonierebbero, secondo il mito, il legame magico tra la terra dei vivi e quella degli spiriti e solo le donne di fuora possono sciogliere le trecce quando lo riterranno opportuno, per questo è ancora oggi usanza non tagliarle e lasciare che si sciolgano con il tempo.
La continuità tra il sogno e le leggende
La dinamica del giorno e della notte così come raccontato nella leggenda richiama facilmente il legame con il sonno e il mondo onirico anche per i ripetuti riferimenti al tema della segretezza.
I sogni rappresentano l’espressione di un immaginario intimo profondo e si esprime attraverso linguaggi e simboli specifici, spostamenti, condensazioni, trasformazioni simboliche.
Allo stesso modo le leggende rappresentano spazi onirici condivisi attraverso i quali si rappresentano immagini, si combinano fantasie, paure, imperativi sociali, eccitazioni perturbatrici di un intero gruppo sociale.
La separazione netta tra il giorno e la notte prende nel mito l’immagine simbolica di una vera e propria dissociazione tra il corpo materiale e lo spirito.
La leggenda narra che, prima di lasciare il corpo materiale, le belle signore ricordavano al marito di non svegliarle mai e non toccare il loro corpo senza lo spirito perché sarebbe stato pericoloso per le donne di fuora o si sarebbero potute disturbare.
Inoltre secondo i racconti, se si fossero attardate fuori casa dopo il sorgere del sole, esse sarebbero state condannate in un corpo di rospo fino alla notte seguente. Se indisturbate, esattamente come il sogno esse sarebbero svanite lasciando una sensazioni di benessere.
Un’altra lettura al tema del segreto che cela l’attività delle donne di fuora, ha a che fare con il Medioevo, epoca in cui la leggenda affonda le sue radici.
In quell’epoca, caratterizzata da forti impalcature culturali e da una potente visione teologizzante, magia e stregoneria erano relegate nel regno del demoniaco di cui erano espressione.
Messe al bando come qualsiasi pratica che avesse la pretesa di intervenire sul corso della natura, la stregoneria e la magia rappresentavano l’eversione e la ribellione rispetto all’ordine morale e religioso e al razionale disegno divino. Erano espressione del dominio del negativo, rappresentavano il disegno egoistico di un inconscio impersonale, quello del regno degli spiriti appunto, e per questo era necessario che venissero tenute lontano, dissociate, appunto, dagli usi del gruppo e con loro le ombre, i fantasmi e le immagini che esse evocavano.
Così come ogni storia popolare o folkloristica anche la leggenda delle belle signore è espressione dello psichismo collettivo che prende la forma di simboli e linguaggi propri dell’epoca a cui appartiene.
Accanto agli aspetti mistico religiosi della leggenda, la storia delle donne di fuora può orientarci nella lettura del contesto culturale di una definita epoca morale e mentale, di una dinamica culturale più vasta che include la forma della società, i momenti critici della vita individuale e collettiva, un orizzonte quindi metastorico di gesti e parole che raccontano la nostra storia e ci aiuta a comprendere le nostre radici.
In particolar modo, le donne di fuora esprimono pienamente la complessità del mondo femminile di epoche antiche così come impresso nella letteratura popolare dell’isola.
In epoche segnate dall’egemonia di una cultura patriarcale le donne venivano isolate ed estromesse dai luoghi di socialità degli uomini, e non restava loro che incontrarsi nei curtigghi, luoghi di ritrovo per la socialità delle donne, ed è proprio nella segretezza dei cortili che le donne si scambiano i segreti della cucina, i rimedi contro i malanni, spesso intrugli di erbe e piante officinali.
Nel curtigghio le donne si raccontano nella propria intimità lontano da occhi ed orecchie indiscrete e, facendo patto di riservatezza, così come nel mito, si scambiano i segreti più intimi, quelli che creano imbarazzo o di cui è bene non parlare pubblicamente.