Il Covid-19 è stato usato come pretesto per reprimere il dissenso e criminalizzare le libertà.
Sembrerebbe una frase mia (di cui non importerebbe a nessuno) o una frase di Fusaro o Agamben (di cui potrebbe importare ad alcuni), ma è invece del Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres (di cui dovrebbe importare a tutti) in un discorso pubblicato da The Guardian il 22 febbraio 2021.
La frase completa, da virgolettare correttamente, è la seguente:
“Il virus sta anche infettando diritti civili e politici. Usando la pandemia come pretesto, le autorità di alcuni paesi hanno calcato la mano sulle risposte di sicurezza e sulle misure di emergenza per reprimere il dissenso, per criminalizzare libertà di base, silenziare resoconti indipendenti (…)” e via continuando, sullo stesso tono.
Anche il titolo del pezzo suona alquanto incisivo: “Il mondo affronta una pandemia di abusi dei diritti umani sulla scia del Covid-19”.
Titoli e questioni non usuali, dalle nostre parti, dove impera la disciplinata accettazione di qualunque cosa propini il Dpcm del momento col sempreverde mantra “la salute prima di tutto” (qualunque cosa significhi).
Cionondimeno l’Onu poggia, costitutivamente, sul pilastro dei diritti umani (oltre a quelli della cooperazione, del mantenimento della pace e dell’armoniosa relazione fra le nazioni), segnalandone le violazioni da qualunque parte provengano e in qualunque contesto.
Prima di entrare nel merito della dichiarazione, però, varrebbe la pena porre una domanda: perché i media nostrani (e in parte anche esteri) l’hanno ignorata? Dopotutto l’autore del discorso, Sua Eccellenza Guterres, è a capo dell’organizzazione intergovernativa più importante al mondo. Diciamo che, se arrivassero gli alieni e chiedessero di parlare con qualcuno che rappresenti l’intero pianeta, l’unico che avrebbe titolo a farlo sarebbe proprio il Segretario Generale dell’Onu.
Ma allora perché quasi nessuno ne ha parlato? Considerando l’attualità del tema e l’autorevolezza della figura istituzionale c’è da meravigliarsi.
La motivazione che propongo è che quella denuncia sia risultata scomoda. In effetti, dopo aver visto migliaia di persone – nei cortei e raduni di Copenaghen, Berlino, Vienna, Madrid, Roma, Londra ecc. – fatte passare per negazionisti, incoscienti, ignoranti e carinerie simili, dovremmo scoprire che invece manifestavano a pieno titolo in nome di diritti umani che il capo della prima organizzazione mondiale ritiene violati?! E che ne sarebbe del pensiero unico del mainstream? Che ne sarebbe della solennità con cui gli illuminati timonieri della nave-paese ci elencavano i sacri divieti al calar della sera con cadenza mensile? L’Avvocato del Popolo giunse finanche a decantarli, davanti al Parlamento, come il trionfo dell’epistéme sulla dóxa (episodio che ricordo volentieri nei momenti più malinconici, in quanto capace di trasmettermi humour involontario).
Entriamo però nel merito della dichiarazione.
Fra i compiti principali dell’Onu vi è quello di vigilare sui diritti umani: spostarsi, incontrarsi, lavorare, andare a scuola, sono diritti fondamentali di tutti. Possiamo considerarli esplicitazioni del generale diritto alla libertà. Il focus sull’obiettivo da raggiungere (l’immunità virale) fa però terra bruciata di quelle conquiste essenziali: il movimento, la socialità, le attività, l’emotività, gli interessi, finiscono per schiacciarsi su quell’unico centro gravitazionale.
Essendo però improbabile che il Segretario Generale non abbia avuto consapevolezza della serietà dell’epidemia, non si può frettolosamente pensare che si sia focalizzato anch’egli, unilateralmente, sugli “abusi dei diritti umani” dimenticandosi del concomitante pericolo virale.
Dunque resta una sola conclusione: per quanto il Covid-19 sia grave, i diritti umani non sono negoziabili. Probabilmente è questo il senso dell’eloquente discorso di Guterres.
Dovremmo comprendere che esistono valori troppo grandi perché li si possa sospendere o sopprimere, nonostante eventi che minacciano la salute.
La via scelta è stata invece quella di contrapporre un male a un altro male, spacciando la trovata come un successone (“il modello Italia”). Per risolvere un grave problema se n’è creato uno altrettanto grave (o più grave): quello dei diritti. Ci sono prezzi che non si possono pagare. Estremizzare la soluzione a un problema comporta diversi guai e quasi sempre una buona dose di illogicità (come se, ad esempio, decidessimo di far sparire gli stupri femminili evirando l’intera popolazione maschile).
È proprio questo che rende pericoloso il meccanismo: il fatto che funzioni. Anche il terribile può ammantarsi dell’utile e del ragionevole: apparendo meno terribile aumenterebbe perciò stesso la propria pericolosità. Con la veste adatta accettiamo qualcosa che non dovremmo accettare.
Si tratta di una procedura operativa. Non v’è dubbio che, serrandoci tutti a oltranza, bloccheremmo qualunque contagio. Epperò, perché limitarci alle forme virali? Potremmo risolvere così anche gli omicidi o gli stupri. Scenari iperbolici, certo. Fatto è che, quando si abbraccia un principio, si abbracciano anche tutti quei casi ai quali è possibile applicarlo.
L’ammaestramento di massa tuttavia ha inculcato proprio questo: “per la vostra incolumità biologica (la “nuda vita” di Agamben) dovrete rinunciare a ogni altra cosa, quando vi si dirà di farlo”. Questa pseudo-massima da Ragion Pratica è estremamente interessante. Quasi dieci anni fa Negri/Hardt (Questo non è un manifesto, 2012) scrivevano: “Il securizzato è una creatura che vive e cresce in uno stato di eccezione, in cui le normali funzioni della legge, delle consuetudini e dei legami di associazione sono state sospese da un potere totale”. Ed eccoci qua.
Alla luce di questo abominio normalizzato il discorso di Guterres rappresenta un’importante indicazione e, a mio avviso, un salutare cambio di paradigma.
Vorrei però concludere notando che le osservazioni di Sua Eccellenza trovano (fra l’altro) il loro fondamento giuridico-filosofico in riflessioni di tantissimo tempo fa, risalenti addirittura alla fine del Seicento. Si tratta del pensiero del giusnaturalismo, concisamente descrivibile come la teoria per cui esistono dei diritti naturali comuni alla ragione e al sentire umano, i quali devono essere preservati e custoditi, per quanto possibile, nella più evoluta forma della vita associata. Il potere politico è giustificato perché assicura agli individui la fruizione dei diritti personali, non perché glieli toglie alla prima infiammazione polmonare.
Con questo non vorrei dispiacere a nessuno. So quanto valevano quei Dpcm per molti, in tanti si commossero profondamente alla bellezza di certi passaggi. E i grandi ricordi non vanno offuscati.
Ma vorrei dire che a Locke (giusnaturalista fra i più celebri) sarebbero sembrati deliri: nessun potere “può assolutamente esercitare l’arbitrio sulla vita e i beni del popolo (…) e non può avere mai diritto di distruggere, ridurre in schiavitù o deliberatamente in miseria coloro che vi sono soggetti” (Trattato sul governo, cap. XI). Non stupisce che nello stesso contesto affermi che l’autorità “non può arrogarsi il potere di governare per mezzo di estemporanei arbitrari decreti”.
Parlare di diritti è una cosa seria, e ci vuole una logica. Quella di Locke era semplice e stringente: creare una comunità politica vuol dire rinunciare a certi diritti che avevamo nello stato di natura e darli, per via di un contratto sociale, a chi può preservarli meglio e in modo affidabile (ossia allo Stato). Ma il potere d’arbitrio su altri uomini non lo possiamo dare a nessuno, perché non è mai esistito: non si può dare ciò che non si possedeva già nello stato di natura. E siccome lì nessuno aveva “il potere arbitrario sulla vita, sulla libertà o sui beni altrui”, allora neanche lo Stato può avercelo su di noi, perché può avere solo ciò che noi gli conferiamo.
Detto semplicemente, è insensato entrare in una comunità politica se si possono perdere quei diritti che proprio essa doveva garantirci e che sono il motivo per cui vi entriamo.
Ora anche l’Onu ce lo ricorda. E dovremmo cercare di non dimenticarlo.