Tutti in Sicilia conosciamo il melograno. Chi ha una campagna probabilmente ha un alberello di melograno nel giardino. Spesso nato spontaneamente.
In Germania e altri paesi europei è ormai diffusissima la presenza dei “juice kiosks“, chioschi di frutta dove si propongono spremute di arancia e di melograno. A questo sono, infatti, riconosciute proprietà antiossidanti ed antitumorali. A parte il fatto che è buono.
Ebbene, nonostante sia un prodotto agricolo che in Sicilia cresce quasi spontaneamente, praticamente non esiste una produzione consolidata, fatto salva l’esperienza del Consorzio Kore nel marsalese.
Uno dei paesi più competitivi nella produzione, oltre la Turchia, è Israele. Quest’ultima, dopo avere preso il controllo del mercato delle arance, sta invadendo con i melograni l’Europa, ed anche la nostra Sicilia (nella foto, melograni in vendita in un supermercato di Palermo). Un ettaro piantumato a melograni può garantire un margine fino a 15.000 euro all’anno. Sono venduti a 3 euro al kg. Più delle pesche. E per arrivare sulle nostre tavole fanno un viaggio decisamente lungo.
La questione è molto seria e rientra nell’incapacità di una programmazione strutturale per l’agricoltura in Sicilia. Un piano di sviluppo che dovrebbe creare sinergia vera tra imprese ed università, e con un uso dei fondi pubblici che dovrebbero dirottare l’investimento privato verso quei comparti che in prospettiva possono garantire maggiore competitività strategica.
Come sempre, serve una visione strategica che vada oltre la semplice spesa (ammesso che i vari assessori di turno sappiano gestirla) nella direzione di un progetto di sviluppo nel medio e lungo periodo. Al di là dei contirbuti economici, sempre minori e sempre più tardivi, gli agricoltori siciliani avrebbero bisogno, come avviene non a caso ad Israele, di un supporto strutturale alla programmazione ed al marketing.
In attesa che questo avvenga, probabilmente dovremo accontentarci di sgranare chicco dopo chicco i melograni israeliani… e pregare.