Tutti vedono la violenza del fiume in piena, nessuno vede la violenza degli argini che lo costringono, diceva Bertolt Brecht che con questa frase sintetizzava l’esigenza di intervenire sul fiume e nella città.
Il fiume Oreto è, infatti, costretto nel suo alveo ristretto e artificializzato. Eppure è possibile un restauro ecologico senza per questo far venire meno le sue prerogative idrauliche. D’altra parte esperienze sono state condotte su fiumi imponenti, come il Manzanarre a Madrid, ove le portate e i rischi idraulici sono ben maggiori di quelle dell’Oreto. Qui occorre favorire una sorta di meandrizzazione dell’alveo di magra nello spazio residuo disponibile. In altri termini occorre ripristinare il percorso sinuoso del fiume mortificato dalla cementificazione.
Perché la biodiversità necessita di diversità morfologiche, non di un’unica sezione geometrica. Questo consentirebbe alla natura di occupare tutta la sezione d’alveo anche con portate basse. Come fare? Innescando quei processi di rinaturalizzazione che già il Fiume cerca di attuare. Dobbiamo solo aiutarlo. Soprattutto ad espandere quei popolamenti di giunchi e papiri (a Palermo prima coltivati) ed altre piante fitodepuranti, che certamente non rastremano la sezione in caso di piena.
“Calati juncu ca passa la china” è il proverbio siciliano valido per l’Oreto, che ha bisogno proprio di depurarsi perché offeso dagli scarichi cittadini. E se gli idraulici, come me, mantengono uno scetticismo di mestiere, si può agire persino con “fitodepurazione flottante”, come quella operata sul Fiume Elba a Dresda, anch’esso con portate decisamente superiori a quelle dell’Oreto.
Io stesso, con la collega Gioia Gibelli del Politecnico di Milano e Presidente della SIEP Iale, Società Italiana di Ecologia del Paesaggio, mi sono occupato di ricostruzioni idrauliche con interventi simili in Lombardia per progetti di compensazione ambientale nell’ambito di Expo 2015. Insomma, adottare processi, che, attenti all’idraulica, guardino alla qualità delle acque e alla naturalità; soprattutto aumentando le sezioni idrauliche attraverso l’eliminazione delle specie alloctone e invasive (ricini, eucalipti, ailanti, etc.).
Ma restaurare ecologicamente l’Oreto non è sufficiente. Renderlo più naturale senza intervenire sulla città sarebbe come un “maquillage” che nasconde i mali idraulici della città: la perdita di quel reticolo idrografico urbano aggravato dalla cancellazione dei fiumi Papireto e Kemonia. La perdita di quel naturale drenaggio urbano che è causa di frequenti allagamenti e che non fa più “respirare” il fiume. Aumentiamo la superficie permeabile in città (ad esempio nei parcheggi, nelle vie tramviarie, col verde pensile, etc.) e rallenteremo le acque di pioggia prima di arrivare al fiume, riducendo notevolmente il rischio idraulico. Nello stesso tempo la permeabilità influisce sulla qualità delle acque: il terreno contribuisce a depurare l’acqua prima che arrivi al fiume.
E poi anche l’urbanistica deve prendere atto del fiume attuando quei piani di recupero delle fasce fluviali che la pianificazione territoriale di area vasta (paesaggio, rischio alluvioni) ormai ci impone.
Cosa fare in sintesi? Rinaturalizzare il fiume, drenare la città, pianificare le aree delle fasce fluviali.