Di Maio, probabilmente nel tentativo di recuperare consensi in Sicilia annuncia trionfalisticamente che la Sicilia ha avviato il suo export con la Cina di arance ed agrumi. È questa la ricetta per l’agricoltura siciliana?
Io ho sempre seguito il Blog di Grillo con grande interesse, perché innegabilmente offriva un altro punto di vista sulle cose. Ricordate la battuta sui biscotti italiani e francesi che percorrevano migliaia di chilometri? E lui sornionamente suggeriva: ma perché non si scambiano le ricette?
Francamente trovo i grandi festeggiamenti per il risultato conseguito con l’Export delle arance in Cina, sbandierato da Di Maio, un po’ contradditorio. Pare l’atto conclusivo di quel lungo processo attuato dal Movimento 5 Stelle per archiviare la sua proposta politica come cambio di prospettiva e di visione economica e del mercato.
Sia chiaro, io credo che il ministro Centinaio faccia bene a festeggiare. Perché rientra negli obiettivi politici del suo ministero, ed anche della sua parte politica, la mobilità del mercato in favore dei prodotti italiani all’estero. E se deve essere politica di mercato, lo sia anche rispetto alla frontiera cinese.
Parimenti trovo grottesca la felicità di Di Maio, perché io non riesco ad immaginare nulla di più distante dalla “stella” dell’ambiente che una arancia caricata su un aeroplano e spedita in Cina. Si tratta, peraltro, di prodotti a basso valore aggiunto, sui quali difficilmente si potranno generare, come nel caso del vino di lusso francese, marginazioni consistenti. Ed è un tipo di prodotto sul quale è impossibile patrimonializzare il valore di brand. Si tratta inoltre di un canale sul quale i nostri agrumi saranno in competizione con quelli marocchini, che sono già sul mercato e notoriamente più economici, e con quelli australiani, logisticamente più vicini.
Chi conosce la situazione del mercato delle arance ha chiaro che la Sicilia ha un mercato potenziale enorme già in Italia ed in Europa. Un mercato che non riusciamo a coprire per motivi logistici, e per una spietata concorrenza interna, soprattutto della Spagna che riesce a garantire sui mercati centro-nord europei prodotti a prezzi molto più competitivi. In ragione di una logistica ben strutturata e di una organizzazione che al nostro comparto manca.
Rispetto alla Spagna abbiamo anche il problema delle arance marocchine che entrano facilmente come prodotto spagnolo. E più in generale politiche di dazi che negli ultimi anni hanno reso sempre più facile l’ingresso di prodotti agricoli del Nord Africa in Europa.
Il disegno europeo è chiaro: serve abbassare le barriere perché la Germania ha bisogno di nuovi mercati e, mentre le produzioni agricole del sud Europa entrano in concorrenza con quelle del Nord Africa, è indubbio che la produzione industriale europea può solo trarre vantaggi dell’export.
Personalmente credo che la corsa alla Cina non sia la risposta strutturale alla questione agricola siciliana. E che sia piuttosto nell’interesse della Cina, che in questi anni ha avuto una forte attività protezionistica sul proprio mercato interno, provare a dare l’illusione che sta aprendo il mercato stesso.
Io non credo che sia questa la strada, e se da un lato penso che dovremmo investire in innovazione e creatività, credo anche che lasciare i mercati europei spalancati ai prodotti a basso costo e bassa qualità cinese sia un grande errore strategico. Dovremmo semmai alzare il livello protezionistico delle nostre produzioni agricole rispetto ai prodotti africani, e concentrarci sul mercato interno europeo, intervenendo sugli aspetti logistici che rendono più competitive le arance spagnole.
Va inoltre rivista la struttura commerciale, perché uno dei problemi dei nostri agricoltori è nell’intermediazione. Ovvero i margini in agricoltura vengono storicamente acquisiti dai commercianti, che hanno delle posizioni di privilegio sia nei mercati ortofrutticoli, che nella distribuzione vera e propria. Discorso che vale anche per la Grande Distribuzione Organizzata, ovvero i supermercati dove un italiano medio fa la spesa. Per cui non si sorprenda il lettore di sapere che un produttore colloca nella migliore delle ipotesi una arancia sul mercato a 25/30 centesimi al kg per l’ortofrutta, e anche 5/7 centesimi al kg per le arance destinate all’industria (ovvero i calibri non commercializzabili).
Non intendo fare il gufo, ma a me sta storia delle arance siciliane in Cina fa lo stesso effetto dei limoni sud africani nei supermercati siciliani.
Avrei un’altra idea di economia ed agricoltura.