Il tema dell’altro, dell’identità della parola e del confronto è un tema di grande attualità, perchè alla base dell’agenda politica italiana, ma anche e sopratutto elemento sui cui ha preso forma e vita la stessa cultura e civiltà umana.
Prendo spunto dall’ interessante articolo di Mauro Plescia. Un articolo che stimola una chiosa riflessiva.
Non ho alcuna difficoltà ad accogliere la distinzione che Mauro suggerisce tra patriottismo e nazionalismo essendomi caro il grido “o patria o muerte” di cubana memoria. Il sentimento patriottico che non si chiude dentro i confini nazionali della propria azione mi convince particolarmente.
Abbiamo già svolto altrove delle considerazioni sulla necessità di dare vita ad una modalità comunicativa più matura e capace di ripiegarsi su di se e di comprendere i nodi, gli equivoci, i luoghi comuni che innescano una aggressività dialettica patologica. E abbiamo sottolineato quanto sia necessario oggi immaginare sempre uno spazio meta comunicativo che ci consenta di vedere le questioni da altri punti di vista. La mia riflessione si collega contemporaneamente a quanto già detto precedentemente sulla comunicazione.
L’uomo è un animale non stabilizzato
L’uomo è sopravvissuto come specie in quanto ha da sempre trasformato l’ambiente in cui è vissuto e si è evoluto per creare forme di vita alternative all’ esistente (mondo antico, greco, feudale, capitalismo espansivo, a guida genovese, olandese, inglese, americano, ora neo finanziario ecc..): tutte le forme di vita sono state destinate al tramonto ad essere superate. Una buona notizia: non durano in eterno. La stessa fase del capitalismo neo finanziario legata all’ egemonia degli Stati Uniti d’ America, oggi, resiste ancora ma è destinata a tramontare e dare vita ad una transizione verso una nuova configurazione stato capitale ed un nuovo ordine mondiale multipolare verosimilmente più pacifico e in cui l’ Europa per l’ appunto, una nuova Europa, non più succube dell’egemonia americana, potrà svolgere un ruolo decisivo. Affronterò la questione in un prossimo articolo. Intanto mi preme sottolineare come la auspicata evoluzione geo politica in corso dovrà essere accompagnata da una più ampia e ricca -si spera- evoluzione culturale ed antropologica.
L’uomo si evolve come individuo e come specie.
Il futuro sarà, pertanto, un mondo in cui sarà possibile essere orgogliosi della propria identità senza che questo significhi svalorizzare quella altrui? Una ossessione che ripetiamo spesso nelle nostre riflessioni sulla comunicazione. Una ossessione costruttiva. Capisco bene che ciò risulti poco divertente per gli uomini frustrati di ogni tipo che hanno bisogno di scaricare la loro repressione sul nemico di turno ma la intelligenza nel futuro sarà la più alta forma creativa di divertimento possibile sicché chi non si evolverà si eliminerà da solo.
Un sogno ad occhi aperti
Leopardi scrive che la ragione per sopravvivere ed essere grande ha bisogno delle illusioni che ella distrugge. La ragione da sola conduce all’egoismo e alla miseria del presente e al dominio delle emozioni tristi e distruttive, oggi nota dominante nell’ animo di tutti: cinismo, opportunismo, disincanto, narcisismo, bieco individualismo. Noi non vogliamo solo ragionare. Vogliamo immaginare la evoluzione della specie. Vogliamo una ragione che leopardianamente si mescoli alle illusioni e alla immaginazione di un futuro differente. L’uomo è un ente naturale generico la cui natura è non essere ancora. Non basta la ragione. Se da bambino Einstein non avesse immaginato di cavalcare un raggio di luce non avrebbe mai scoperto la teoria della relatività. Occorre sintonizzare e allineare un pensiero costruttivo ed un cuore anelante un futuro differente
L’aggressività umana distruttiva nasce con la divisione antagonistica del lavoro sociale.
Sono d’accordo con Fromm e non con Freud: l’istinto di morte non è una costante della esistenza umana ma una “categoria socio biologica, storica”. La aggressività dell’uomo primitivo non è distruttiva, connaturata, ma benigna e difensiva: non vi sono tra raffigurazioni rupestri di lotta di uomini contro uomini. Fromm spiega nel libro “Anatomia della distruttività umana” come l’uomo primitivo all’interno delle società matriarcali non conosca né il sadismo né la necrofilia, forme alienate di comportamento che si sviluppano con la nascita della civiltà e della società patriarcale e spirituale, con la divisione del lavoro e la lotta di classe. A un certo punto alla creatività della terra e della donna si sostituisce quella della ossessione della mente e del controllo. L’aggressività distruttiva esplode con la nascita di una società patriarcale in cui la religione viene usata come strumento di potere. Il concetto è decisivo. La aggressività dell’uomo attuale è una caratteristica della storia e non della preistoria dell’uomo e non è connaturata alla natura umana. Questo vuol dire che vi sarà sempre la possibilità di creare un ambiente di vita alternativo che rimuova i presupposti da cui sorge quella distruttività. Non è affatto vero che lo stato primitivo sia uno stato naturale caratterizzato dalla violenza di tutti contro tutti. Questo è lo stato, in cui l’uomo a causa della divisione del lavoro e della lotta di classe, diventa un lupo per l’altro uomo. L’uomo per natura diventa, non è! Nell’estremo fondo della disperazione dell’uomo attuale, disincantato e depresso brilla una gioia che è il vero rimosso della umanità e la stella polare che deve muovere i nostri passi verso il futuro. Un pensiero che intravede il sentiero politico e culturale per andare oltre questa distruttività allineato ad un cuore che anela questa Gioia nascosta nel corpo è quello che vogliamo diventare.
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In una città universale si è cittadini del nulla: appartenere è un gioco bello.
Noi pensiamo che domani sarà possibile vivere con intelligenza e flessibilità ed essere identitari e cosmopolitici ad un tempo. Ne siamo certi. Sarà possibile essere identitari a vari livelli ma mai contro gli altri: piuttosto sempre insieme con coloro che condividono il livello e il piano di significazione di quella specifica e data identità. Non è la demonizzazione dell’avversario che da maggiore forza alla nostra identità ma la maggiore forza del nostro progetto che supera la logica dell’ avversario.
Io posso essere felice di appartenere al quartiere Cuba Calatafimi e di condividere questa gioia con il signore Macaluso che abita in via Trasselli, senza che ci ò significhi essere contro il signor Tano che sta alla Guadagna. Ciò accade solo se elaboro un sentimento patriottico di appartenenza in quanto frequento, conosco la storia, le tradizioni e vivo il mio quartiere insieme al signor Macaluso. Sono le pratiche di vita che costruiscono le differenti identità. Questo sentimento di appartenenza patriottica non è escludente. Non è colui che non appartiene al mio quartiere che dona identità e costruisce il mio sentimento di partecipazione ad esso poiché lo avversa. Solo se partecipo alla vita del mio quartiere sentirò quella possibile appartenenza. La mia identità dipende dall’altro con cui condivido la mia appartenenza e dalla mia partecipazione. L’ avversione eventuale del signor Tano (o la mia verso il suo quartiere) è retaggio culturale del passato. Può trovare spazio solo sui social forum, una palestra per impotenti che scaldano e allenano i muscoli virtuali.
Un meccanismo psicologico da superare.
Questo meccanismo psicologico per cui l’altro in quanto nemico diventa colui che dona identità alla mia esistenza è un meccanismo tanto comprensibile quanto involuto, un meccanismo ideologico dei gruppi tribali del paleolitico e del neolitico che è stato prodotto per difendere il territorio di caccia, pesca e raccolta. L’uomo della preistoria, inoltre, se vedeva delle foglie e dei rami spezzati per terra doveva convenientemente prevenire con la immaginazione la peggiore delle ipotesi: pensare che la causa di quelle foglie per terra sarebbe potuta essere conseguenza del passaggio di un una belva li in quella zona. Bisognava essere dietrologici e sospettosi e immaginare il peggio per potere sopravvivere. Diciamolo sotto voce. Oggi non sarebbe più necessario. Ma si sa che questo determinerebbe uno scatto evolutivo in avanti della umanità; risulta pertanto utile spezzare il dialogo possibile tra vittime del sistema inventando sempre nuovi nemici, le belve pericolose pronte a scagliarsi contro gli altri che ci trasformano in belve pronti a scagliarci contro gli altri Per potere riconoscere il volto del vero avversario che sfrutta le risorse della terra e le vite umane occorre che le vittime di questo sfruttamento si riconoscano come alleati e maturino una solidarietà di classe comune. Finché saremo vittime di un odio reciproco (il ceto medio e popolare “nazionale” non tollera il migrante, il presunto uomo di sinistra, cosmopolita e semicolto, non tollera l’ignoranza del ceto medio) questa divisione sarà il trionfo del capitalismo. Una classe esigua di sfruttatori che si nasconde dietro il sipario dello spettacolo e una classe numerosa di sfruttati che subisce un massacro di classe unidirezionale senza rendersi conto di essere una classe che conduce una masochistica guerra intestina di poveri tra loro.
I social forum sono una ottima palestra virtuale per tenere viva la paranoia utile del primitivo.
Oggi la paura dei primitivi è ancora tra noi quando diciamo “casa nostra e casa loro” e quando giochiamo sulla paura per ottenere consensi elettorali, da una parte, o quando, dall’altra parte, identifichiamo Salvini come il terribile nemico dell’umanità quasi fosse la incarnazione del nostro peggiore incubo. Ridicolo. A volere essere gentili la situazione può essere definita comica. Si tratta dello stesso meccanismo involuto che verrà superato prima o poi.
Io posso essere felice di essere palermitano insieme al signor Tano di via Guadagna anche se sono felice di vivere nel quartiere Cuba Calatafimi insieme al signor Macaluso e non di abitare in via Guadagna. Non vi è contraddizione. Analogamente io posso essere felice di essere siciliano insieme al signor Giordano, catanese, anche se sono felice di essere palermitano con il signor Macaluso e il signor Tano, quando vado allo stadio: in questo contesto sono ovviamente contento di non essere catanese. Attenzione: non sono felice di non essere catanese in assoluto ma solo “relativamente”, cioè, quando mi trovo con Tano e Macaluso a vedere la partita di calcio. L’ altro con cui sto definisce la mia identità relativa ed il suo raggio di azione che si gioca e varia a secondo che tipo di teatro sociale sto occupando. Posso egualmente essere felice di essere italiano con il veneto Guardalben insieme al catanese (tutti e tre possiamo mutare lo sguardo in un istante) perché, ad esempio condividiamo Dante e Michelangelo, e non solo il Pitrè, anche se, nel contempo, sono felice di essere siciliano con il catanese e non con il veneto. Il veneziano sarà felice, a sua volta, di non essere siciliano insieme al padovano. Non dovrebbe avere bisogno di odiare il siciliano per provare la gioia di essere veneto. Posso essere felice di essere europeo con il tedesco anche se sono felice di essere italiano con il veneto e il catanese e, con loro, sono contento di non essere tedesco. Posso essere felice di essere umano con il nigeriano, il russo e l’ eschimese, anche se sono felice di essere europeo con il tedesco e il veneto e il catanese in quanto non sono eschimese. Ciò che definisce la mia identità ai vari livelli è il mio sentimento di appartenenza e partecipazione sempre differente. Vivo e attraverso ciascun territorio ma non sono mai risolto in nessuno di essi. Si può essere identitari ai vari livelli integrati dentro una visione cosmopolitica intelligente e solidale guidati da un sentimento forte di connessione energetica con tutti gli esseri umani come prima pulsione vitale e creativa.
La meraviglia di essere simili è più forte della, sia pure importante, bellezza di essere differenti.
Gli esseri umani sono una unica famiglia, unica razza. Questa verità poetica, filosofica, etica e scientifica, indiscutibile ci consente di poter giocare la nostra identità in modo sempre differente dento ciascun territorio in modo creativo e non conflittuale. Sono un attore del quartiere Cuba Calatafimi che prova un sentimento di adesione più ampio quando esce dal piccolo teatro del suo quartiere ed entra nel teatro più grande della città di Palermo e in quello ancora più ampio quando entra nel teatro della Regione Siciliana e, poi, dello Stato italiano e, in seguito, dell’Europa: un sentimento di partecipazione identitario differente ma ugualmente bello. Tutto si origina, tuttavia, dal primo sentimento originale identitario che è quello di essere appartenenti alla medesimo teatro della comunità umana. Kant dice che bisognerebbe vedere e sentire l’estraneo come se fosse già un amico come a noi piacerebbe essere visti dall’estraneo quando siamo conosciuti.
La domanda sorge spontanea. Se la circonferenza che disegna la mia identità che si allarga via via sempre più cosa succede quando incontriamo il tedesco? La circonferenza, in questo caso, purtroppo, diventa improvvisamente più piccola: da Dante e Michelangelo il raggio improvvisamente si accorcia e la circonferenza diventa della dimensione di un euro. Non basta. E’ un peccato. Una occasione sprecata.
Un altra Europa possibile?
Occorrerebbe imparare valorizzare e vedere la bellezza della cultura europea e della sua vocazione che non è quella di costruire mura ma di valicare confini e sconfinare sguardi. Fa parte della storia dell’Europa questa apertura che non si rinchiude dentro i confini. C’è una necessità culturale forte, oltre che politica, di avere una Europa federale e unita che nasca dalla interazione di tutte le differenze. E poi diciamo la verità. Il vero europeo autoctono è l’ uomo di neandhertal, poi estintosi. Noi siamo stati degli immigrati africani che dal cuore dell’ Africa hanno raggiunto a più riprese l’ Europa. Nel veronese vi erano da una parte accampamenti dei neandhertal e dall’altro dei sapiens sapiens. I veronesi, è bene precisarlo, sono i discendenti di immigrati africani. Inoltre fino a 30.000 anni fa, poco tempo prima che iniziasse la storia ufficiale, sulla terra convivevano almeno 3/ 4 specie umane differenti. Pare che allora sapessimo convivere con altre specie umane. Poi siamo rimasti soli. Oggi non sappiamo convivere all’ interno della stessa razza. Abbiamo avuto fortuna poiché la nostra sopravvivenza non era affatto prevista o programmata da un disegno divino. Questo, lungi dal togliere valore, ha reso assolutamente preziosa la nostra presenza sulla terra e importante la nostra responsabilità creativa di preservare questo dono riattivando quell’ altruismo evolutivo che risulta oggi altamente intelligente per salvare la nostra specie. L’uomo è un essere sociale e comunitario per necessità naturale perché, in quanto specie predata, ha avuto bisogno di organizzarsi socialmente. Questa è la storia. In natura i battitori liberi, ovvero coloro che si avvantaggiano della cooperazione ma poi seguono solo il loro interesse, tra le scimmie cosi come negli ominidi, non hanno mai vinto: sembra che vincano ma alla fine perdono. Alla fine ha sempre prevalso la necessità di cooperare al fine di salvaguardarsi da un nemico esterno. Il punto è che oggi noi non siamo più evoluti di allora perché abbiamo ancora bisogno, in assenza di un nemico esterno, di crearci un nemico dentro la nostra stessa razza (o dentro il nostro gruppo) per essere una comunità solidale. Come dire: per la nostra storia evolutiva siamo stati comunitari contro gli altri, (dovremmo diventarlo per noi stessi), al punto che abbiamo mantenuto questo schema anche tra noi inventandoci falsi nemici. Il ceto medio contro i migranti, i poveri contro i poveri, costituisce la più grande vittoria del capitalismo. Siamo comunitari nei nostri gruppi specifici, “prima gli italiani” siamo comunitari competitivi: dovremmo diventare comunitari cosmopolitici, cioè, in quanto razza umana. Dovremmo diventare per necessità cooperativi non contro le altre specie e contro noi stessi ma per scelta consapevole, per salvaguardare la sopravvivenza della razza umana: essere altruisti e cooperativi è l’unico comportamento evoluto che potrebbe salvare la nostra specie. Da un punto di vista spirituale o filosofico e poetico possiamo dire che siamo intessuti della medesima sostanza, ma anche da un punto di vista scientifico questa appare inevitabilmente come l’unica strada possibile. L’ ultimo rimedio contro la estinzione. Lo stadio dell’evoluzione umana potrà essere caratterizzato domani dalla consapevolezza che siamo tutti cellule interdipendenti del super organismo chiamato “umanità”. Così come trilioni di cellule del nostro corpo cooperano, pur nelle loro rispettive e diverse specializzazioni, per farci stare bene noi possiamo diventare le cellule del medesimo super organismo della umanità per fare stare bene il corpo della terra.
La vittoria di Narciso?
Noi non saremo mai risolti in ciò che produciamo o che di noi viene prodotto. Siamo sempre oltre, in cammino oltre ciò che ci accade, verso il sogno più antico dell’uomo, disegnare il volto comune del futuro, siamo un anelito incessante verso ciò che non è ancora, viandanti, nomadi, non stabilizzati, non possiamo riposare dentro un confine, dentro una identità, siamo sempre un cantiere aperto verso un altro futuro possibile, un altro modo di stare insieme. Ci saremmo potuti estinguere come le altre specie umane ma poi accadde qualcosa… dal dialogo amoroso della madri con i propri cuccioli nacque la parola, ovvero, la scoperta dello specchio dell’ altro nel nostro campo visivo, la nascita della nostra autocoscienza e della capacità di autorappresentazione, ciò che oggi è a rischio di estinzione. Se la parola fallisce, e da specchio dell’ altro e di noi stessi, da scoperta felice della nostra natura relazionale, diventa vomito della propria frustrazione, come sta accadendo, se la parola fallisce l ‘uomo ritorna a rischio di estinzione e compare la violenza verso l’altro, il diverso, il capro espiatorio. Deve finire questa storia. Il tramonto della volontà di potenza e il trionfo della volontà di cooperazione. Ciò che odiamo o temiamo o escludiamo dell’altro siamo sempre noi stessi. L’ altro diventa l’incarnazione delle nostre peggiori paure, (che sia il migrante, da un lato, o il terribile “leghista fascista” dall’altro), l’altro diventa il mostro nella culla del nostro piccolo io. Potrebbe essere invece una opportunità creativa di espansione e di creazione se solo riuscissimo ad andare oltre il muro della nostra paura. Una grande muraglia cinese invisibile circonda il nostro cuore. E noi siamo gli schiavi (di noi stessi), vittime contro vittime, che l’hanno costruita. Non siamo più capaci di vedere l’altro intorno? Né di vedere l’ alterità dentro noi stessi? Terribile. Quando l’altro scompare tutto il mondo si eclissa e compare una desolazione infinita. Tu stesso ti eclissi. “Una pace terrificante” come canta De Andrè. Non siamo più capaci di vedere l’altro dentro il sistema omologante, di immaginare un altro mondo dentro e oltre questo mondo cadente? Non siamo capaci di maturare un altro modo di essere e di amare, di vivere e cooperare? Trionfa ovunque il Medesimo. È la dittatura di Narciso. Non c è un altrove possibile oltre questo delirio?